Tratto da RockBand.com | 17 settembre 2009
Traduzione a cura di Irene
Il 28 del mese scorso è stato un giorno eccezionale per i Pearl Jam: hanno suonato per una folla in estasi all’Outside Lands festival al Golden Gate Park di San Francisco, uccidendo il pubblico con due meritevoli ore di classici e canzoni nuove. Qualche ora prima, il chitarrista Mike McCready ha trovato il tempo di sedersi con Brett Milano, scrittore/editore di Zine, per questa esclusiva intervista nel backstage.
Si inizia con McCready che ricorda l’ultima volta in cui i Pearl Jam hanno suonato al Golden Gate Park nel 1995…la famosa serata in cui Eddie Vedder è stato messo ko da un’intossicazione alimentare, e Neil Young è intervenuto per terminare il set. Da lì siamo partiti a rivisitare alcuni momenti chiave nella storia dei Pearl Jam ed abbiamo saputo qualcosa in più di molte tracce del nuovo album. Mike rivela anche l’ispirazione per il tono upbeat del nuovo album – sì, è contenuto politico! – e dà ai chitarristi di Rock Band un consiglio su quale assolo attaccare per primo.
(…)
Brett Milano: Allora i Pearl Jam e Rock Band sono stati un bell’incontro fin qui. Abbiamo realizzato Ten e stiamo per rilasciare Backspacer. Credo che Matt sia il giocatore principale della band, ma mi chiedevo se tutti voi avete avuto la possibilità di giocarci.
Mike McCready: Io l’ho fatto. Ci gioco, gioco a Rock Band con i figli dei miei amici qualche volta alle feste. E loro mi battono come un completo idiota proprio mentre ho la sensazione di riuscire a batterli. Allo stesso modo, provo a suonare la batteria, e non riesco a suonarla. E’ molto difficile. Ci ho giocato un po’ di volte ma penso di dovermi allenare, perché non sono bravo come i ragazzini.
BM: Hai almeno analizzato i tuoi assolo per vedere come sono stati tradotti?
MM: Sai, non l’ho ancora fatto. Devo farlo. Non analizzo i miei assolo nemmeno mentre li faccio. [ride]
BM: Allora Backspacer è un gran disco per quello che ho sentito finora.
MM: Grazie.
BM: Mentre stavate lavorando alla re-issue di Ten, stavate lavorando contemporaneamente al nuovo album?
MM: Sì.
BM: Mi chiedevo se andare indietro e riconsiderare le vostre vecchie cose abbia avuto qualche effetto sul modo in cui avete proceduto con il nuovo materiale.
MM: Credo che il fatto che abbiamo voluto prendere Ten e re-mixarlo, lo ha fatto suonare un po’ più asciutto; Jeff Ament, il nostro bassista, voleva farlo da tanto tempo e alla fine l’abbiamo fatto. Entrambe le cose si sono verificate allo stesso tempo. C’è stata probabilmente una qualche influenza sul modo in cui questo nuovo disco è venuto fuori, ma non sul modo di scrivere le canzoni perché penso che siamo tutti delle persone diverse oggi. Siamo più vecchi. Abbiamo un nuovo batterista, Matt. Voglio dire, è il nostro batterista da più tempo, ma ha scritto il nuovo singolo e penso che i nuovi pezzi siano proprio qualcosa di diverso da quelli che scrivevamo quando avevamo vent’anni. A livello di suoni può essere più vivace, o possono suonare ugualmente vivaci. Ma a parte questo, penso che non ci sia molto altro in comune.
BM: Penso che una reazione che molti di noi stanno avendo è che per lo più è molto “up” e molto allegro. Mi chiedo da cosa dipenda.
MM: Dal mio punto di vista, direi che veniamo fuori da otto anni di orribile governo e ora abbiamo un nuovo presidente e siamo tutti felici ed eccitati dal fatto che c’è veramente un po’ di speranza e qualcuno sveglio alla Casa Bianca e queste cose influenzano le nostre vite in modo positivo mentre non è stato così per molti, molti anni. Questo ci rende entusiasti di poter vivere questo momento come cittadini americani e come band. Penso che abbia molto a che fare con questa cosa.
BM: Mi chiedevo se “The Fixer” fosse una canzone specificamente su questo, perché sembra corrispondere.
MM: Penso che “The Fixer” sia più una canzone, per quello che ne so, di Eddie (Vedder, il cantante) che parla di se stesso, del suo modo di mettere insieme e di ascoltare le idee di tutti gli altri. Lui accoglie alcune cose e non altre. Ed è come uno scienziato dietro le quinte, uno scienziato pazzo credo, non so. Mette tutto insieme e aggiusta le cose in qualche modo. Penso che parli di questo. Ma puoi generalizzarlo anche al nostro nuovo clima politico. Si spera.
BM: Ho notato che avete fatto pezzi brevi, molto diretti, quasi stile garage. Avete in qualche modo cercato di controllare la tendenza a renderle un po’ più così?
MM: Penso che all’inizio non fossimo consapevoli di limitarle. Avevamo circa 17 idee per questo progetto, da 17 a 20. E quando siamo arrivati a circa 11 completate, Brendan (O’Brien, il produttore) e Ed si sono fermati e hanno detto “Hey, questo sembra un disco davvero buono”. Stone (Gossard, il chitarrista) aveva parlato di voler fare un disco più breve, più conciso e penso che ci siamo riusciti. Detto ciò, abbiamo ancora altre canzoni rimaste fuori da questa session con le quali potremmo fare qualcosa nei prossimi sei mesi. Ma questa ci è sembrata la giusta quantità di pezzi. E riporta all’ascolto dei nostri dischi preferiti con i quali siamo cresciuti. Rocks degli Aerosmith aveva nove canzoni credo, e i vecchi dischi dei Van Halen per me avevano otto o nove pezzi. Sto mostrando la mia età adesso, ma sono queste cose qui. Quelli sono dischi davvero buoni per me, e non è necessario che contengano un sacco di roba.
BM: Infatti. In una canzone è citato Johnny Guitar. Mi chiedevo come ha fatto a finire dentro una canzone dei Pearl Jam.
MM: In realtà c’era una foto di uno dei suoi dischi nella nostra warehouse quando l’abbiamo comprata. E c’era un muro, specificamente nel bagno, che aveva un mucchio di vinili e tra questi c’era un suo disco con in copertina lui su un triciclo. Penso fosse del periodo della crisi energetica o qualcosa del genere, nei primi anni ’70, quando uscì quel disco. Lui è sul triciclo, circondato da donne ed abbiamo pensato che fosse una specie di…penso che Ed l’abbia trovata una copertina ironica. E, come fa sempre il suo cervello, ha tirato fuori delle idee da lì. Sei la prima persona che mi chiede di quella canzone in tutte le interviste che sto facendo, mi fa piacere che sia venuto fuori. Anche in questo caso la musica è di Matt.
BM: E’ una buona canzone. Volevo chiederti qualcosa anche di “The End” che secondo me è una vero cambio di direzione alla fine dell’album perché si attraversa un groove molto vivo e più upbeat e poi all’improvviso arriva una canzone sostanzialmente sulla morte.
MM: Già. O sulla vita. Potrebbe essere sul conservare i momenti in cui ti prendi cura profondamente delle persone che ami e della tua famiglia, tenendo a mente che siamo qui solo temporaneamente. Ma si tratta di una canzone che Ed aveva in versione demo e suona quasi esattamente come il demo. Ce l’ha suonata ed era così commovente ed era perfetta. Così l’ha registrata di nuovo e per lo più suona esattamente come il demo. Suona così evocativa e struggente e diretta come l’originale ed è un ottimo modo per chiudere il disco secondo me.
BM: Sai dirmi che tipo di giornata aveva avuto quando l’ha scritta?
MM: Non lo so…dovresti chiederlo a lui. Non so quale processo ci sia dietro. So solo che è un’ottima canzone.
BM: Di solito lui arriva con un insieme già formato per quanto riguarda le idee sui testi? E immagino che la maggior parte delle volte voi abbiate una qualche intuizione del posto da cui sta arrivando e su cosa sta lavorando.
MM: E’ un mix di cose. A volte arriva con una canzone completa come “The End” già pronta e allora la mette giù da solo. Oppure Stone ha un riff – come è successo ad esempio con “Amongst the Waves” – e ci lavoriamo musicalmente e mettiamo tutto insieme, e poi lui arriva ed inizia a canticchiare delle armonie e delle idee. Poi se ne va alla sua macchina da scrivere e scrive alcune cose, alcuni testi. Ci lavora su tutta la notte e poi forse torna e li cambia il giorno dopo o una settimana dopo o quello che sia. Ho notato che segue un procedimento diverso per ogni brano.
BM: Quindi l’idea complessiva di Backspacer è di tornare indietro su qualcosa che avete sbagliato e correggere l’errore. E’ questa l’idea che c’è dietro?
MM: Mi piace che tu ci veda questo. [ride] Penso che possa esserci quell’intento. Credo che Ed abbia avuto l’idea iniziale da quelle macchine da scrivere degli anni ‘30 che colleziona e con le quali scrive i testi, hanno un tasto che dice “Backspacer.” In realtà credo sia “Backspace”. Comunque, è da lì che ha preso l’idea. Penso sia anche quello che dici tu, e anche guardare alla propria vita da quando si era ragazzini fino ad oggi e, quando il disco sarà pubblicato, l’artwork mostrerà ciò di cui sto parlando. Alcuni nostri processi di pensiero da giovani sono diventati forme d’arte nel disco, grazie a Tom Tomorrow, che è uno straordinario artista.
BM: Oh sì, This Modern World.
MM: Lo conosci. Ha fatto tutto l’artwork.
BM: A parte l’aspetto politico di cui parlavi, c’era un senso di “Eccoci qui, sono passati tutti questi anni, siamo arrivati in un bel posto” – è stato questo lo spunto di questo disco?
MM: Penso che in qualche modo lo affermiamo nella nostra vita di tutti i giorni. Ci sentiamo tutti estremamente grati di essere ancora in giro a fare musica e che la gente venga a vederci, e che ancora stiamo bene insieme. Parliamo tra noi e ancora litighiamo e cose così, ma sentiamo che ancora ci piace fare musica insieme. E alla gente piace, credo. C’è una sensazione di maggiore calma rispetto a quando eravamo nella tempesta all’epoca in cui avevamo un successo enorme, nel ‘95, ‘96 quando non sapevamo cosa fare se non solo sopravvivere il più a lungo possibile. E poi a volte si crolla e a volte no. Penso che siamo più sereni ora, ma suoniamo ancora alla grande. Anzi spero che suoniamo meglio di allora. Perché adesso abbiamo più canzoni. Ne abbiamo circa 200, è folle.
BM: Immagino che sia stato un processo lungo, che i fan hanno condiviso con voi, il successo della band e come avete reagito ad esso. Ed eccovi qui, ancora di successo, ma immagino che oggi abbiate un modo di gestirlo che avete imparato nel corso degli anni.
MM: Penso che i nostri fan siano stati pazienti con noi, ne abbiamo persi alcuni nel corso degli anni, certamente facendo cose così tanto fai-da-te, non facendo video, occupandoci di alcune cause che ci hanno portato a suonare in alcuni posti difficili da raggiungere. Era difficile per la gente venire a vederci. Ed io applaudo le persone che ci sono rimaste vicine attraversando tutto ciò, perché non so se io l’avrei fatto. Rifammi la domanda, perché credo di essermi perso.
BM: Stavo solo parlando dell’essere a proprio agio con il successo, al livello cui siete arrivati, e immagino che abbiate sviluppato qualche metodo per gestirlo che vi permetta di stare bene.
MM: Penso di sì. Faremo attenzione a questa cosa nell’editing. [ride] Credo che alcune cose arrivino con l’età. Siamo tutti più vecchi, sulla quarantina, e abbiamo famiglia. Quelle sono le priorità. Questa roba è la priorità oggi. La musica è divertente ed è meravigliosa ed è il nostro lavoro ed abbiamo successo, ed io sono molto grato di tutto ciò, ma ci sono altre cose nella vita. Mentre prima, era tutto un buttarsi a capofitto in questa cosa e magari prendere qualche botta ogni tanto sulla strada che ci ha portato fin qui. Come ho detto, siamo grati di essere ancora in circolazione.
BM: Una cosa che ci piace fare in Rock Band è mostrare che anche le più grandi band hanno avuto le loro esperienze iniziali in piccoli locali. Volevo chiedere ai Pearl Jam di un posto come l’Off Ramp, che è diventato leggendario come il Cavern Club. Puoi riportarmi indietro a quel primo concerto e raccontarmi qual era l’atmosfera?
BM: [ride] Ricordo il primo concerto all’Off Ramp come un qualcosa di caotico, perché ero nervoso al pensiero che fosse troppo presto per uno show. Jeff e Stone avevano un contratto con la Polygram e non se ne erano ancora liberati, ed eravamo lì ad esibire la nostra nuova band otto o dieci giorni dopo che l’avevamo messa insieme. Stone diceva “Eh, facciamo uno show e vediamo come va”. Ed io ero preoccupato che non fosse una buona idea dal punto di vista del business.
Ma detto ciò, avevo anche voglia di suonare perché sentivo che avevamo una band davvero ottima. Ed era appena arrivato ed avevamo appena iniziato, era la prima volta che mi trovavo in una band nella situazione in cui si andava davvero al massimo con tutti i cilindri. Non c’era un legame fragile nella band. L’Off Ramp è un club piccolissimo. Esiste ancora. Ha cambiato nome tre volte nel corso degli anni. Credo che adesso si chiami El Corazon e c’è un palo, sostanzialmente al centro del palco, per cui devi sempre girarci intorno. Non so se l’hai visto o se ci sei mai stato, ma è molto piccolo e fa un po’ paura. Eravamo lì e c’era un grande interesse perché era un po’ il livello successivo di quello che Jeff e Stone stavano facendo. I Mother Love Bone erano piuttosto famosi in città, perciò la gente era venuta a vedere pensando “Di che si tratta?” E penso che abbiamo convinto quel primo pubblico semplicemente facendo i nostri pezzi e suonando con tutta la convinzione e l’entusiasmo di cui possono essere capaci cinque ragazzi giovani. E’ stato eccitante ed esaltante. E’ stato esageratamente lodato. E’ filato via molto velocemente, è tutto quello che posso dire. E dopo eravamo fuori per iniziare a fare il nuovo disco, e poi eravamo in un van tour con gli Alice in Chains, e dopo ancora eravamo in un altro van tour, e poi ci siamo ritrovati ad aprire per i Peppers, e subito dopo eravamo al Lollapalooza, e poi [rumore di esplosione] è esploso tutto.
BM: E poi è successo.
MM: [ride] Sì. Tutto l’insieme. I Nirvana arrivarono al numero uno. E ogni cosa divenne folle.
BM: Noi abbiamo Drop In the Park, un paio di brani da quel concerto, nel gioco.
MM: Grandioso.
BM: E la cosa mi fa pensare a tutta la leggenda di Eddie e la sua piccola avventura aerea.
MM: Uh huh.
BM: L’arrampicata. Mi chiedevo cosa pensavi quando guardavi in alto e lo vedevi fare quelle cose.
MM: Tutte le volte che ho visto Ed fare quelle cose negli anni, il mio pensiero era “Okay, cadrà. E sarà tutto finito. Lui morirà. Per favore vieni giù, e smettila di farlo”. Ma ero anche euforico ed eccitato da queste cose, perché le faceva nel mezzo di “Porch”. Quella volta in particolare, al Drop in the Park, fece qualcosa che non aveva mai fatto prima. Ha lanciato il microfono sopra il supporto dei riflettori e ci si è arrampicato per poi penzolare da lassù e poi venire giù o qualcosa del genere, non ricordo bene. E’ stato un altro di quei momenti del tipo: “Allora, cadrà?” Ma lui è super-forte, quindi non l’ho mai visto cadere. L’ho visto salire in cima ad una trave di 50 piedi sospeso in aria, a San Diego, quando aprivamo per i Peppers e i Nirvana, per probabilmente cinque minuti a testa in giù. E io continuavo a pensare “Fate venire giù quel ragazzo, per favore tiratelo giù. Verrà mai giù?” E sicuramente il Drop in the Park è stato un concerto eccitante perché avevamo fatto una grande lotta con il comune per cercare di realizzarlo, e la prima volta ci hanno fatto smettere. Per il primo show che volevamo fare, ci dissero che non avevamo l’appropriata protezione della polizia o blah blah blah, o non so che altro. Ma avevamo radunato tutta quella gente. Ci hanno fatto chiudere al Gasworks Park il giorno dello show, e così hanno fatto incazzare tutti i genitori che avevano portato lì i figli. Così si rivolsero al sindaco. Quando facciamo i concerti, vogliamo che siano quanto più possibile comodi e sicuri. Ed eravamo molto consapevoli di questo per il primo Drop in the Park e per il secondo. Per questo dovevamo lavorare con il comune per realizzare quello show ed è stata dura. Erano 50.000 persone ad un concerto gratuito. E’ stato più simile allo show che c’è stato qui. E questo si è realizzato. E’ stato meraviglioso…non lo dimenticherò mai. E’ stata un’esperienza fantastica. Era il vecchio posto in cui suonavo da ragazzino.
BM: Adesso siete una di quelle band con molti dei vostri fan che collezionano tutti i concerti e confrontano le note di ogni cosa che suonate ad ogni show e le diverse versioni delle canzoni. Questo influisce su quello che fate sul palco? Cercate di dare loro qualcosa di notevole ogni volta?
MM: Credo che Ed sia consapevole di questo. Quando arriviamo in una città e facciamo un concerto, guardiamo le setlist che abbiamo fatto negli ultimi dieci anni in quella città e le riesaminiamo – lo fa Ed – e diciamo “Okay, abbiamo suonato qui questo pezzo nei primi anni ’90 o qualcosa del genere, perciò non lo suoneremo”. Lui ha una memoria incredibile e vogliamo essere sicuri di dare ai fan qualcosa di nuovo ogni sera, e mantenere anche il nostro entusiasmo. Come ho detto prima, abbiamo circa 200 brani tra cui pescare e ci sono cose che spesso mi dimentico. “Oh sì, c’è quella canzone. Potremmo farla”. La proviamo al soundcheck e a volte funziona e a volte no. Vogliamo mantenere l’interesse per noi stessi e per i fan. Perché questo fa sì che le persone vogliano collezionare le cose e tornare a vederci perché avranno una setlist diversa, quasi completamente diversa ogni sera.
BM: Poiché si potrà suonare l’intero album su Rock Band, ci sono canzoni o momenti di alcune canzoni che ritieni siano particolarmente eccitanti e che vorresti evidenziare?
MM: Su Backspacer?
BM: Su Backspacer, sì.
MM: Sì, io direi di provare l’assolo di “Amongst the Waves.” Mi piace molto. E direi di darci dentro con “Gonna See My Friend.” Sarà divertente saltellare e suonare. E per quanto riguarda le canzoni più difficili da suonare, non saprei…suonatele tutte.
BM: Raccomandi di mettersi a saltare e pestare duro?
MM: Sicuro. Più che potete.[ride]
BM: Eccellente.
MM: E’ rock. Giusto? E’ rock & roll.