Billboard | 24 Marzo 2009
By Jonathan Cohen
Traduzione a cura di As_It_Seems
Mentre “Ten”, il sensazionale debutto dei Pearl Jam del 1991, viene ripubblicato il 24 Marzo in edizione così speciale che sarebbe più giusto definirlo un completo rifacimento, Jeff Ament, il veterano bassista e co-fondatore della band di Seattle, si è seduto con Billboard per parlare di quello che c’è dentro le quattro extra-cariche edizioni del 12 volte album di platino. Ha inoltre intrapreso un viaggio attraverso la lunga strada della memoria ricordando i giorni in cui “Alive”, “Even Flow” e “Jeremy” dominavano le radio e il cantante Eddie Vedder si dondolava come Tarzan dalle travi dei locali e degli anfiteatri da Los Angeles a Londra.
Ognuna delle quattro versioni della ripubblicazione di “Ten” include una versione rimasterizzata in digitale dell’album originale così come un remix completamente nuovo realizzato dal loro storico produttore Brendan O’Brien. Il disco di O’Brien include anche sei canzoni di quel periodo mai pubblicate prima: le prime versioni di “Breath” e “State of Love and Trust”, “Brother” (con la parte vocale, non la versione strumentale di “Lost Dogs”, la collection di rarità del 2003), “Just a Girl”, “Evil Little Goat” e “2.000 Mile Blues”, una jam stile Stevie Ray Vaughan con improvvisazioni vocali di Vedder.
La “Legacy” edition di “Ten” ha in allegato un DVD della performance dei Pearl Jam all'”MTV Unplugged” del 1992 mai pubblicata in precedenza, che include una versione di “Oceans” mai andata in onda. Ma la versione che ha mandato in delirio i fan più accaniti è la “Super Deluxe Edition” con i due CD, il DVD, quattro LP. La scatola di tela include una replica della “Momma-Son”, la cassetta demo che Vedder inviò ad Ament e al chitarrista Stone Gossard nel 1990 che gli ha fatto ottenere il posto nei Pearl Jam, il doppio vinile del concerto del 20 Settembre 1992 al Magnuson Park di Seattle mai pubblicato prima, una replica del taccuino delle composizioni di Vedder riempito di appunti e foto e stickers assortiti e altre memorabilia del periodo “Ten”.
Quando avete iniziato a concepire questo progetto, quali erano le cose che volevate assolutamente includere?
Jeff Ament: C’erano state indubbiamente alcune discussioni con l’ufficio artistico della Sony a quell’epoca, così la cover alla fine non è venuta come volevamo. Era una tonalità di rosso più rosa di quello che intendevamo (ride). Inoltre, quando abbiamo iniziato a fare dischi con Brendan, in qualche modo ci siamo resi conto del suono che volevamo. Sapevamo che il primo disco forse non rispecchiava la band che eravamo. Non suonava abbastanza diretto ed era forse over-mixato e un tantino poco asciutto per i nostri gusti. Mentre stavamo mixando “Ten”, stavamo ancora terminando alcune cose, che è difficile da credere. Penso che queste cose mi abbiano portato a volerlo fare nel modo in cui volevamo che fosse. E’ una di quelle cose: se avessimo saputo allora quello che sappiamo adesso, che tipo di disco sarebbe stato? Nello scavare tra le cose e decidendo di mettere insieme alcune cose speciali e sorprese, abbiamo trovato un sacco di roba. Abbiamo trovato scatole e scatole di diari e itinerari dei tour con delle scritte sopra. E’ stata una cosa molto divertente da fare. Non lo sapevo in quel momento, ma quando scatti delle fotografie e scrivi dei brevi commenti dei concerti, questo facilita la tua memoria. Ti aiuta a ricordare quello che succedeva in quel periodo. Non credo che nessuno di noi abbia pensato molto a quello che è succeso 18 anni fa finora. Questa è una delle prime volte in cui realmente ho guardato indietro alla storia della band, perché siamo sempre stati molto impegnati a muoverci in avanti. La sensazione è che sia stato un gran periodo. E che ci sia stata abbastanza differenza con quello che è successo dopo. Tutti noi guardiamo a quel periodo con senso dell’umorismo, cosa che non penso avremmo avuto così tanto, 10 anni fa.
Vuoi dire che la volontà di includere il demo originale ha a che fare con questo?
Sì. Quando l’ho trovato e l’ho ascoltato, non ero sicuro se fosse appropriato farlo uscire, per dirla tutta. Il mio primo istinto è stato, questo è piuttosto personale ed è stato fatto prima che ci conoscessimo a vicenda. Poi quando Ed lo ha ascoltato, si è messo a ridere. Ha detto qualcosa come ‘Wow. Ero piuttosto fuori’. E questo era un buon segno che era dell’idea di farlo. Mi ha fatto sentire più voglia di tirare fuori un sacco di quelle cose personali e di lasciarmi coinvolgere un po’ da questa cosa. In un certo senso, fare uscire tutte queste cose e lasciarle andare, probabilmente renderà più facile a livello inconscio muoversi in avanti, proprio perché è stato un disco così enorme e un periodo così folle.
Ci sono state cose che proprio non avete potuto fare per la versione deluxe?
Le cose che sono finite nel diario, sono probabilmente un decimo di quello che avevamo sparso sul tavolo. Abbiamo messo le cose che pensavamo avrebbero raccontato meglio la storia. Ti dà un colpo d’occhio dall’interno su quello che ci stava succedendo e che scrivevamo nei tempi morti. C’è una pagina di qualcosa che ho fatto relativamente a come volevamo avere questo approccio molto idealistico al merchandising. E’ divertente, ma è abbastanza condivisibile. E’ più o meno quello che abbiamo fatto, ed è stato divertente vederlo. Non ricordavo nemmeno che pensassimo a cose di questo genere all’epoca, ma lo facevamo. E’ interessante pensare che fossimo una band molto idealistica in quel periodo, ed abbiamo portato a compimento davvero molte di quelle cose.
Immagino che aveste fiducia nel fatto che i vostri fan si sarebbero accaparrati la versione deluxe molto rapidamente. E’ un approccio che limiterete a cose speciali come questa? O considererete di far uscire un nuovo album con tutti questi orpelli e fronzoli?
Probabilmente non fino a questo punto. Tranne che per questo primo disco, per me, penso che in ogni disco, abbiamo superato noi stessi con tutti i tipi di package che abbiamo fatto. Con “Vitalogy”, quel package ha tagliato di circa il 30 o 40% le nostre royalties, perché quello che volevamo fare era fuori dagli standard di fabbricazione. Per “Vs.” abbiamo fatto un ecopack, che non si fa più. Ha preceduto il digipak. Cercavamo di evitare la plastica per il package e cercavamo di renderlo più simile a un disco; per farlo apparire in modo che aprendo qualcosa spuntasse qualcosa dall’interno. Sarebbe stato abbastanza grande da essere un valido oggetto artistico, e non sarebbe stato in un jewel case. Li abbiamo odiati fin dall’inizio, perché si rompevano. Si poteva rompere il dorso, i contenitori si potevano spezzare e non potevi più chiuderli. Le prossime ristampe non saranno della portata di quello che abbiamo fatto con “Ten”. Non ho ancora iniziato a rovistare tra quelle scatole, ma posso immaginare solo una manciata di cose che mi piacerebbe rifare per ognuno di quei dischi. E sarebbero cose più relative a mix o suono.
“MTV Unplugged” non è mai uscito prima. Lo avevi visto in questi anni?
No. Non penso di averlo visto finché non è uscito. E’ stato poco prima che le cose impazzissero. Quando ne abbiamo sentito parlare, eravamo in Europa per la seconda volta. Era il giorno dopo un concerto a Zurigo. Siamo arrivati in questo club e il palco era grande quanto lo spazio che abbiamo di solito per la batteria. Lo guardavamo e ci chiedevamo come avremmo potuto fare un concerto lì dentro e farci entrare tutta la nostra attrezzatura. Qualcuno ha detto, perché non facciamo uno show acustico? C‘erano alcune persone della casa discografica, e ci hanno dato delle chitarre acustiche. Probabilmente avevamo fatto 70 o 80 concerti come band a quel punto per quel disco, così è stata un’interpretazione piacevolmente diversa di quei pezzi. Il pubblico cantava le canzoni con noi, perché avevamo un piccolissimo amplificatore. Il giorno successivo, [il manager] Kelly [Curtis] ci chiamò e ci disse che avevamo una proposta per fare “MTV Unplugged.” E noi abbiamo pensato, lo abbiamo appena fatto! Se ci avessero chiamato una settimana prima non avremmo saputo se saremmo stati in grado di farlo. Ma a Zurigo, ci era sembrato che fosse andato tutto bene musicalmente. Penso che fosse uno dei primi “MTV Unplugged.” Avevamo pochissima esperienza come band acustica a quell’epoca, per cui alcuni di noi avrebbero voluto farlo più avanti. I Nirvana fecero il loro un paio di anni dopo e ovviamente ebbero il tempo di prepararlo. Noi, letteralmente appena scesi dall’aereo di ritorno dall’Europa, abbiamo passato tutta la giornata in un cavernoso studio di registrazione a New York e ci siamo esibiti quella stessa sera. E’ venuto come è venuto. Questa è in parte la ragione per cui non volevamo pubblicarlo a grandi livelli. Se ne facessimo uno adesso, potremmo veramente farlo nel modo giusto. Ma è appropriato fare uscire quello che abbiamo fatto, insieme a questa roba. E’ abbastanza potente, e Ed canta meravigliosamente. Inoltre, è un po’ naif, cosa che è in qualche modo piacevole.
E visto che allora non facevate nuovi video, tutte quelle canzoni sono state trasmesse singolarmente, e separate dal loro contesto nello show. Per molte persone penso che fosse la prima volta che vedevano una vostra qualsiasi esibizone.
Sembriamo follemente giovani. La prima volta che l’ho visto, ho pensato, Porca miseria! Pensare che era 18 anni fa.
“Drop in the Park” è stato un altro momento chiave nella storia della band. E’ risaputo che organizzarlo è stato un incubo.
Doveva tenersi al Gas Works Park inizialmente, più in città, vicino a Lake Union. La città ha sempre avuto una grande disconnessione con quello che stava succedendo qui a livello musicale. Il sindaco, Greg Nichols, recentemente se ne è uscito dicendo che stava tentando di comunicare con la comunità musicale affinché fosse maggiormente parte del movimento artistico, e che avrebbe stanziato dei soldi per programmi di questo genere. Ho pensato, con 20 anni di ritardo! A qell’epoca, non volevano avere niente a che fare con quello che stava succedendo in città a livello musicale. Ricordo una cena con Paul Schell, che era il sindaco allora, forse due o tre anni dopo quel concerto. Aveva un’incredibile aria di superiorità quando abbiamo parlato di quanti soldi l’intero movimento aveva portato alla città. Pensava che fossimo ridicoli a parlare di queste cose. E’ stato bello alla fine riuscire a fare il concerto, ma c’era un clima un po’ ostile. Inizialmente eravamo davvero molto entusiasti di mettere in piedi questo concerto, ma ci abbiamo messo quasi sei mesi alla fine per trovare il modo di farlo. La maggior parte dei problemi erano legati alla paura che c’era in città di quello che sarebbe successo a questo “concerto grunge”. Tutto quello che volevamo fare era dare alla città uno spettacolo gratuito.
Ho sentito dire che i volontari erano stati fatti entrare gratuitamente con l’accordo che si sarebbero fermati per aiutare a ripulire, ma ovviamente se ne sono andati tutti, lasciando solo tre persone ad occuparsi dell’intera area.
Sì. Mettere in piedi quello show ci ha insegnato molto su come allestire i nostri concerti. Ci sono state sicuramente delle cose che abbiamo sbagliato. Le barriere erano troppo piccole. Hanno ceduto ad un certo punto durante il set dei Cypress Hill. Ci eravamo impegnati in qualcosa di cui non avevamo nessuna esperienza, ma è stato comunque grandioso. C’era un clima di festa a quel concerto, e di liberazione. Ci sono voluti mesi di lavoro con la città per portarlo a compimento.
Parliamo del remix di Brendan. Aveva già fatto dei tentativi su alcune canzoni del “Greatest Hits” che è uscito nel 2004. Che cosa vi disturbava del suono di “Ten”?
Bè, risale al periodo in cui facevamo il nostro primo disco con Brendan, che era “Vs.”. Quando abbiamo sentito quanto suonava potente nel modo in cui lo aveva trattato, che poi di base non lo aveva trattato molto, al di là di rendere le cose più dinamiche e fare qualche EQ e compressione… Non c’è molto riverbero. Su “Ten”, come puoi sentire, ce n’è tanto. Puoi sentire lo strumento di quel periodo, il Lexicon Reverb, su quasi ogni cosa. Da qualche parte a fine anni ’90, ho trovato una cassetta dei mixaggi grezzi di “Ten”. Quando l’ho sentita ho iniziato a dire “Dobbiamo remixare ‘Ten'”. Di solito succedeva dopo essere stati in un club o qualcosa del genere dove sentivamo un pezzo tratto da Ten. E pensavo “Ugh! Questo mi sta uccidendo!” Ad un certo punto ho detto a Brendan che l’avrei pagato per avere una versione solo per me, così se avessi dovuto ascoltare una canzone per reimpararla o per qualsiasi altro motivo, avrei potuto ascoltare la versione giusta. Lui ha sempre detto “E’ un classico e non voglio toccarlo”. Era molto rispettoso. Questo è il motivo per cui l’originale fa ancora parte di questo package, perché è la versione che 10 milioni o non so quante persone hanno comprato. Quando senti la sua versione però, è due volte più potente secondo me. E’ molto più caratteristica. Riesci a sentire le sfumature della voce di Ed e degli strumenti. Inoltre mi ha ricordato che grande batterista fosse Dave Krusen. L’altro mixaggio ha così tanto riverbero che non si sente l’attacco della batteria, ma in questa versione lo senti veramente picchiare duro. Penso che tutti ne siano super, super entusiasti. Qualche settimana fa quando Stone l’ha sentito per la prima volta, è impazzito e mi ha mandato un messaggio dicendomi quanto fosse contento.
E questo porta la rappresentazione di quelle canzoni più in linea con il modo in cui suonano dal vivo.
Sì. Penso che quelle canzoni siano cambiate così tanto nei pimi due mesi in cui eravamo in tour. E questo è ciò che rendeva più difficile ascoltare il disco. Non solo i pezzi erano più lenti in “Ten”, avevano un suono molto soft. Avevamo l’impressione che non ci rappresentasse, per cui ecco qui, ora ci rappresenta.
Raccontami di questa jam blues che hai trovato.
Ci sono stati un paio di giorni in cui Stone era malato o dal dentista. Noi avevamo un paio di giorni in studio, e in un giorno abbiamo fatto “Master/Slave” che è l’inizio e la conclusione del disco. L’altro giorno, abbiamo fatto solo jam su alcune cose. Questa era una delle cose su cui ci siamo fermati e ci siamo detti “Wow. Non è terribile!” Ti dimostra, anche all’epoca, quello che Ed riuciva ad improvvisare. Non è stato cambiato niente. Sostanzialmente siamo solo noi con un accordo 12-bar blues e Ed che prende il via e Mike che prende il via. Era quel tipo di cosa nella quale volevamo crescere come band. Volevamo essere capaci di suonare così; prendere un accordo 12-bar blues e spostarci verso luoghi avventurosi.
Quindi non c’è Stone in quel pezzo?
Mi pare di no. Penso sia una sola chitarra.
E ovviamente “Brother” riappare ancora, ma questa volta è cantata.
Hallelujah! Io ero davvero preso da quella canzone. Stone aveva scritto la musica. C’è stato un momento durante la registrazione di “Ten” in cui Stone disse “Ehi, non ne posso più di questo pezzo” Ed io “No! Lavoriamoci ancora”. Abbiamo davvero litigato in studio. Alla fine non ci abbiamo più lavorato. Era arrivata ad un punto e Stone ne aveva abbastanza. Penso che forse in qualche modo Ed probabilmente non fosse totalmente contento di come era il brano a quel punto, e così non è mai uscito. Penso ci sia una magnifica chitarra in quella canzone.
E’ stato un compromesso quindi farla uscire come brano strumentale in “Lost Dogs?”
Sì. In quel momento Ed ancora non voleva metterci il testo, così Mike ci ha messo su un sacco di chitarra. Una parte di me pensava che alcune di queste cose non sarebbero mai dovute uscire. Ma sembra che ora sia il momento giusto per tirare fuori tutto. L’altra cosa che abbiamo trovato e che non pensavo sarebbe mai venuta fuori è la “State of Love and Trust” in cui suona Dave Krusen. Penso che sia ampiamente superiore a quella che si trova su “Singles”. Ribadisco, non penso di aver pienamente apprezzato l’apporto di Krusen alla band a quell’epoca. Lui suona quel pezzo esattamente nello spirito in cui è stato scritto. Ha un feeling molto più trash, Crazy Horse. E’ meraviglioso.
Ed è lui anche nella versione di “Breath” che fa parte dei bonus? E’ del 1990.
Sì. Credo fosse la seconda volta che la provavamo.
Ascoltavi “Ten” prima che iniziasse questo lavoro?
Non lo ascoltavo prima del remix di Brendan. Ho ascoltato dozzine e dozzine di cassette senza nome cercando di trovare roba interessante, ma non avevo ascoltato l’intero album finché Brendan non l’ha remixato.
C’era quella “Jeremy” totalmente diversa che è stata suonata live nel 1995, ma non si trova qui.
Non so se l’abbiamo mai portata al punto di essere una reale buona versione alternativa. L’abbiamo suonata solo cinque o sei volte.
Ti trovi ancora a sperimentare il materiale in modi differenti con il passare del tempo?
Penso di averlo fatto ascoltando i remix, sicuramente. Eccetto quel mix grezzo di cui parlavo, non penso di essermi mai seduto ad ascoltare niente di “Ten” salvo quando abbiamo deciso di suonare “Deep” una sera per la prima volta in tre anni. La combinazione di aver ascoltato il remix ed aver frugato tra quelle scatole ha riportato alla superficie un sacco di cose che credevo di aver seppellito. Da parte mia sentivo di non essere così bravo come avrei voluto, così guardavo avanti e cercavo di essere un miglior elemento della band e un miglior bassista. Mi sono sempre tirato un po’ indietro quando le persone mostravano considerazione, ma poiché è stata una cosa così enorme, si è aggiunta questa stranezza.
Ma allo stesso modo, quasi tutte quelle canzoni sono ancora in live rotation. Hanno ancora una vita.
Sì. Soprattutto per il fatto che abbiamo avuto tre batteristi da quando abbiamo realizzato “Ten” – ognuno di loro è stato capace di suonare le diverse canzoni in modo migliore o comunque differente, in modi che ci hanno entusiasmato.