Melody Maker | 21 Maggio 1994
by Allan Jones
Grazie Angpo per la traduzione
“Qualunque generazione scelga Kurt o me come portavoce, dev’essere davvero una generazione rovinata”
– Eddie Vedder
Tre settimane fa, al Paramount Theatre di New York, i Pearl Jam hanno tenuto quello che potrebbe essere il loro ultimo concerto nel prossimo futuro. Allan Jones era al concerto e in questa sua esclusiva intervista parla con Eddie Vedder della morte di Kurt Cobain, della pressione di una celebrità non voluta e di come il significare troppo per troppe persone possa distruggerti.
“Sai,” dice Vedder, la sua voce tremula e flebile, poco più che un sussurro, “ho sempre pensato che me ne sarei andato io per primo.”
Nessuno di noi due dice nulla per un lungo momento, c’è così tanto silenzio che posso sentire il mio cuore che batte, niente di più che un insignificante battito. Eddie guarda il pavimento, cercando dei segreti nella pietra. Il silenzio è snervante.
“Non so perché lo pensavo,” dice finalmente, “semplicemente, credevo che sarebbe andata così. Voglio dire, non lo conoscevo bene – ben lontano da quello. Ma in un certo senso non è giusto che io sia qui senza di lui. È così difficile credere che se ne sia andato davvero. Ne parlo come se lui fosse ancora qui, vedi. Non riesco a crederci. Non ha alcun senso.”
“Mi ricordo quando è stato male a Roma – non avevo capito che in realtà era un tentativo di suicidio – io ero a Seattle. Ero uscito a prendere qualcosa da mangiare e ho letto la notizia che era in coma. Ho dato i numeri. Sono tornato a casa, ho fatto alcune telefonate per cercare di capire cosa cazzo stesse succedendo. Poi ho cominciato a girare come un pazzo per casa, piangendo. Continuavo a ripetermi, ‘non andartene, non andartene, cazzo. Non andartene’ e continuavo a pensare ‘se lui se ne va, io sono fottuto.”
“Dov’eri quando hai saputo che si era ucciso?”
“Ero in una stanza d’albergo a Washington D.C., una stanza che ho devastato.”
La sua voce svanisce ancora, in un silenzio pieno di problemi. Stiamo seduti per un po’, mentre il tempo passa, e nessuno di noi ha fretta di dire qualcosa.
Fa caldo qui dentro. Sono molto stanco e sto cominciando ad appisolarmi un po’ quando Eddie manda una sedia a fracassarsi contro il muro, colpendolo con un rumore meledettamente forte che mi fa ritornare di colpo in me.
“Fanculo, fanculo a tutto,” sibila con terribile veemenza, e io non so che cosa stia per fare ora. “Sai, tutta questa gente,” dice, “tutti in fila a dire che la sua morte era così dannatamente inevitabile. Beh, se era inevitabile per lui, allora lo sarà anche per me, se tutto questo continua. Ecco perchè questo potrebbe il nostro ultimo concerto di sempre per quello che mi riguarda. La morte di Kurt ha cambiato tutto. Non so se potrò continuare a farlo.”
“Sai, le persone come me e come lui – noi non possiamo essere noi stessi. È una contraddizione. Non possiamo essere semplicemente individui che scrivono quelle canzoni. Dobbiamo rendere conto alle speranze e alle aspettative di milioni di ragazzi. E non possiamo farlo. E al di sopra di tutto questo ci sono i cinici media del cazzo. Fanculo, che si fottano. Su tutta la linea, mettono in dubbio la tua onestà. Indipendentemente da quello che dici, da quello che fai, pensano che tu agisca con un secondo fine. Pensano che sia tutto un cazzo di gioco. Perché è quello a cui sono abituati. È quello che pensano, che sia un cazzo di gioco. Non sanno distinguere quello che è vero da quello che non lo è. E quando arriva qualcuno che cerca di essere vero, loro non sanno cogliere la cazzo di differenza. Così se dici ‘No, non giocherò al vostro cazzo di gioco. Voglio andarmene… non farò questo, non farò quello’ loro continuano a pensare che tu faccia parte del gioco. Non possono proprio accettare che tu non ne voglia far parte, che tu non ne sei mai stato parte. Pensano sempre che sia una posa. Qualche tipo di posa del cazzo. E questo rende le cose così difficili per qualcuno che cerca solo di essere onesto. E allora che si fottano.”
Eddie si ferma per prendere fiato, e puoi sentire la stanchezza e qualcosa che si avvicina all’isteria uscire da lui a ondate. Cominci a pensare che si sia calmato quando arriva una seconda ondata.
“E c’è un’altra cosa,” urla all’improvviso, mentre io mi ritraggo. “Non ne abbiamo mai parlato ma è come se tu stessi dicendo che anche se eravamo persone molto differenti probabilmente avevamo molto in comune. Avevamo delle storie simili, sì, cose che erano successe alle nostre famiglie e stronzate del genere… penso che sia qualcosa che viene fuori quando scriviamo le nostre canzoni, sicuramente. Ci sono delle similitudini ogni tanto. Ma quello che ci rendeva più simili era il modo in cui la gente reagiva a quello che scrivevamo e cantavamo, quell’intensa identificazione. E penso che forse sia stato un shock per entrambi sapere che così tante persone avevano vissuto le stesse esperienze. Voglio dire, capivano in modo così completo quello di cui parlavamo. E noi pensavamo di essere gli unici ad aver dovuto fare i conti con quella merda. Perché noi in realtà abbiamo scritto quelle canzoni per noi stessi. Poi all’improvviso, c’è tutta questa gente che si riconosce in quelle canzoni e di colpo diventi il portavoce di una cazzo di generazione. Riesci a crederci?” urla.
“Un… portavoce… per una… generazione,” prosegue, e tu non sei sicuro se lui pensi che questo sia triste, terribile o troppo divertente per parlarne.
“Voglio dirti,” dice, più calmo ora, ma solo di poco, “che quando uscì il nostro primo disco sono rimasto sconvolto da quanta gente si riconosceva in quegli argomenti. Alive, così tanta gente ha fatto i conti con la morte grazie a quella canzone. Nello stesso modo in cui la gente ha affrontato la morte di un amore con Black e il suicidio con Jeremy. Il tipo di lettere che ricevevo su queste canzoni… alcune erano davvero spaventose.”
“È semplicemente strano, cazzo. Scrivi una canzone su quella roba e improvvisamente diventi il portavoce di una cazzo di generazione,” ride, ed è una risata amara, che spaventa, niente di divertente. “Pensaci, amico,” dice. “Qualunque generazione che scelga Kurt o me come portavoce dev’essere davvero una generazione rovinata, non credi? Voglio dire, quella generazione dev’essere davvero andata amico, davvero fottutamente andata.”
Siamo nel backstage del Paramount Theatre, seduti in un piccolo, oscuro camerino da qualche parte nella vasta bruttezza del complesso sportivo del Madison Square Garden. Entro un paio d’ore i Pearl Jam si esibiranno nell’ultimo concerto della prima parte del loro tour americano. Nove giorni prima, Kurt Cobain è stato trovato a Seattle con la testa maciullata.
“Non so come abbiamo fatto a superare l’ultima settimana,” dice Eddie trascinando una sedia di metallo in questa cella bianca. Potremmo essere pazienti in un qualche tipo di istituto che aspettano di sottoporsi a qualche trattamento spiacevole.
“È stato così fottutamente difficile amico,” dice stancamente, “così difficile. Non volevo continuare questo tour per una serie di ragioni, tra cui la morte di Kurt. Ma abbiamo deciso di farci forza, di tirare avanti per quest’ultima settimana e poi di dimenticarcene per un po’.”
La sua voce è polverosa e stanca, esaurita, quasi andata. È un ringhio da quattro del mattino con sigarette e whiskey. E ascoltandolo puoi sentire il suo umore oscillare incerto tra stanchezza e violenza. Sembra così stanco da non poter parlare e nello stesso tempo pronto per qualche genere di azione, una dichiarazione fisica che non ha ancora abbandonato la lotta, a dispetto del peso del suo dolore e della confusione causati dagli eventi degli ultimi giorni e dall’impatto che hanno avuto sul suo fragile io.
E osservando i cambiamenti d’umore di Eddie, dalla dolorosa introspezione all’improvvisa esplosione di livida e impaziente rabbia, è come osservare un tuono prendere forma nei cieli estivi. Un momento sta sussurrando sommessamente, quello successivo sta urlando e bestemmiando. Un momento è ancorato saldamente alla sedia, piccolo, accartocciato, ripiegato su se stesso, ritirato, sempre più distante, il seguente la scintilla è esplosa e le cose volano per la stanza. Descrivere il suo umore come volatile sarebbe un eufemismo.
C’era da aspettarsi qualcosa del genere, ovviamente. Appena ho sentito la notizia del suicidio di Kurt Cobain ho epnsato a Eddie e a come avrebbe potuto reagire.
Erano stati creati per essere nemici, arcirivali, era un dramma conveniente, le due più grandi nuove star del rock americano coinvolte in un conflitto non sanabile. Ma avevo incontrato Eddie un anno fa a Londra e credevo sinceramente che fosse al disopra di queste piccolezze, anche se non potevo parlare per Kurt, che avrebbe potuto benissimo credere a tutte le cose terribili che aveva detto sui Pearl Jam. Avevo la sensazione che Kurt poteva essere piuttosto implacabile.
“Sono state dette un sacco di cose, ma nessuna che significhi davvero qualcosa,” dice ora Eddie, ripensandoci. “E mi piace pensare che avrebbe potuto aver cambiato idea su alcune delle cose che ha detto, sai. Voglio dire, c’è una persona che entrambi conoscevamo, che mi ha detto che Kurt chiedeva spesso di me, come se si sforzasse di capirmi, questa persona ci conosceva entrambi. Ho pensato che fosse una bella cosa. Mi ha fatto sentire bene, sai. Perché sono state scritte così tante stronzate su di noi. E ne abbiamo parlato, ne abbiamo parlato un paio di volte. E una di queste volte mi ha detto apertamente, praticamente un intero paragrafo sul rispetto che aveva per quello che avevo fatto, e che aveva capito che erano cose oneste”.
“Questo,” si ricorda improvvisamente, “è successo agli MTV Awards. C’era Tears in Heaven (canzone di Clapton ndt) in sottofondo, stavamo ballando un lento insieme. Mi ricordo di essere andato a fare surf il giorno dopo e di aver ricordato quando fosse stato bello quel momento, di aver pensato ‘cazzo amico, se solo non fossimo stati così spaventati l’uno dall’altro.’ Perché abbiamo vissuto così tanta della stessa merda. Se solo avessimo parlato, forse ci saremmo potuti aiutare.”
Infatti lo scorso dicembre Melody Maker provò a mettere insieme Eddie e Kurt. Avevamo in mente di fare una copertina natalizia. Cominciò un po’ come uno scherzo. Immaginatevi la nostra sorpresa quando la gente con cui avevamo parlato ci rispose che, nonostante la presunta animosità tra i due, prima Eddie e poi Kurt si erano detti d’accordo, solo per poi avere un altro fraintendimento a causa di un articolo di Time Magazine di cui ora ci sembra persino troppo triviale parlare.
A quel tempo i Pearl Jam e i Nirvana dovevano suonare a uno show di MTV filmato al Pier 48 a Seattle, che sarebbe andato in onda la notte di Capodanno. C’erano anche le Breeders e i Cypress Hill, e avrebbe dovuto esserci la pubblica riconciliazione tra Pearl Jam e Nirvana dopo la loro lunga lite.
Il giorno prima del concerto i Pearl Jam annunciarono che si sarebbero ritirati. La ragione ufficiale era che Eddie era senza voce, che era esaurito. Parlando nel backstage con il fotografo di Melody Maker, Steve Gullick, Stone Gossard, che era andato al Pier 48 per suonare con i Cypress Hill, disse che Eddie era ‘molto malato.’
C’erano persone che inevitabilmente dubitavano di questo. “Cazzo ero davvero malato, amico,” dice ora Eddie. “E questa è la verità. Avevamo appena finito un tour, poi abbiamo suonato altre tre volte a Seattle e riuscivo a malapena a stare in piedi. La pressione era intensa. Avevano allineato gente in carrozzella perché la salutassi e tutto questo genere di cose. Cose come queste ti tolgono talmente tanta energia che non te ne rimane più.”
“Ma sono riuscito a farlo, e poi sai come succede. Te ne torni a casa e fai cadere tutte le difese. Come abbassare la guardia in un incontro di boxe quando mancano 30 secondi alla fine del round e ti arriva un colpo quando meno te lo aspetti. E io mi sono preso un gran brutto colpo in faccia. Ero davvero andato. E poi quelli chiamano e dicono ‘beh, pensi di riuscire a stare meglio per giovedì? Puoi fare questo? Puoi fare quello? Puoi suonare?’ E io mi sentivo di merda e avrei cantato di merda e sapevano che ci sarebbe stata un mucchio di gente lì a vedereci. Se avessimo suonato, avremmo fatto schifo”.
Molta gente ha pensato che vi foste ritirati perché non volevate apparire insieme ai Nirvana, che la tua mancata apparizione fosse un grosso vaffanculo, che fossi semplicemente petulante.
“E questa è stata la cosa peggiore,” dice Eddie, esasperato. “Stare a casa, cazzo, ammalato, sudando e tremando, guardando le ore che passavano prima dello spettacolo e pensare ‘Sono fottuto, completamente fottuto’ e poi vedere tutto andare anche peggio perché c’erano tutti questi pettegolezzi che giravano su dove io fossi e sul perché non fossi lì. C’era gente che diceva che ci eravamo ritirati perché avremmo voluto essere il primo nome in cartellone. Stronzate, non c’era nessun problema. Avremmo suonato per primi, secondi o terzi, cazzo, in qualunque cazzo di posizione, sai. Non c’era nessun problema con l’ordine. E io ero davvero contento di suonare con loro. Ho anche pensato di scrivere loro un biglietto dicendo ‘scusate amici, sono malato’, ma i pettegolezzi erano divertenti da ascoltare. Qualcuno diceva che ero a fare surf alle Hawaii. Qualcun altro che ero andato lì e vedendo tutte quelle luci e telecamere avevo detto ‘wow, fanculo a ‘sta merda, io me ne vado.’ E questo,” dice sorridendo, “sarebbe stata la cosa più vicina alla verità. Voglio dire, alla fine ero malato. Ma poi mi sembrava che se avessimo dovuto davvero suonare insieme, sarebbe stato meglio farlo per qualcosa di più importante che uno special di MTV.”
C’è una cosa, parlando di come la rivalità tra Nirvana e Pearl Jam abbia fatto schierare la gente, che Eddie ricorda e che gli ha dato davvero fastidio.
Quando Kurt andò in coma a Roma, una rivista di Seattle, un foglio che circolava nei locali, aveva un articolo intitolato “PERCHE’ NON È SUCCESSO A EDDIE VEDDER?”.
Questo è esattamente quello che Courtney Love ha detto a Select, dico a Eddie. Mi guarda assolutamente stupito. “Oh,” dice, mentre il fiato lo abbandona. “È carino. Davvero carino. Mi fa sentire davvero bene. Mi domando perché non me l’abbia detto quando le ho telefonato la scorsa notte e le ho offerto tutto l’aiuto e il supporto che potevo darle.”
Siamo seduti in uno dei nostri normali silenzi.
“Non conosco davvero nessuna di queste persone,” dice. “Non conosco Courtney, non le avevo mai parlato prima. Ma qualcuno mi ha detto che avrei dovuto chiamarla e io ho pensato che forse dovevo. Voglio dire, tutta questa merda che vola da una parte all’altra e la stampa che la mette tra virgolette facendo di tutto un affare più grosso di quello che non sia realmente, e quando tutto è stato detto e fatto, restano i sentimenti che provo per queste persone. E a quelle che sono vive ho bisogno di far sapere cosa provo.”
Lo scorso ottobre i Pearl Jam hanno pubblicato Vs., il seguito di Ten, che era nelle classifiche di Billboard da più di due anni, e che ha venduto, solo in America, più di cinque milioni di copie. Molta gente dubitava che potessero ripetere lo stesso successo.
Vs. ha venduto la straordinaria cifra di 1,2 milioni negli USA nei primi cinque giorni (950.378 in sette giorni secondo soundscan ma va bene lo stesso, ndt), sbriciolando il precedente record detenuto da Use Your Illusion II dei Guns N’ Roses con 777.000 copie. Nella sua prima settimana, in Utero dei Nirvana ha venduto meno di 200.000 copie. Questo ha fatto di Vs. l’album venduto più velocemente della storia.
I Pearl Jam fanno parte della storia ormai, e ti domandi come Eddie possa reagire al fatto che Vs. sarà probabilmente ricordato non come un grande disco, ma come un fatto statistico. Speri ancora che lo accetti e che magari sia contento del successo. Questo risulta essere un pio desiderio.
Il 19 novembre, due settimane dopo l’inizio del tour americano, Eddie è stato arrestato a New Orleans con l’accusa di ubriachezza molesta dopo una rissa in un bar. Alle quattro del mattino, dopo il primo dei tre concerti tutti esauriti alla Lake Front Arena, Eddie stava bevendo in un bar di Decataur Street nel quartiere francese della città con i membri della band di supporto (Urge Overkill) e Jack McDowall, il lanciatore dei Chicago White Sox, la squadra di baseball della città degli Urge.
Eddie si è trovato coinvolto in un alterco con un cittadino locale, James Gorman, dopo un acceso scambio di opinioni. Secondo l’accusa, Eddie ha sputato in faccia a Gorman. È scoppiata una rissa, il cui rumore è arrivato fino in strada. Nel caos successivo, Eddie è stato accusato di aver fatto perdere i sensi a Gorman, mentre McDowall è stato messo al tappeto da un buttafuori del vicino Nightclub Blue Crystal. Quando è arrivata la polizia, ha arrestato Eddie. “E io non ho fatto un cazzo!” esplode Eddie quando gli parlo dell’incidente. “Quello che è successo,” dice, “è che a New Orleans qualcuno ha fatto qualcosa che non mi è piaciuto e io gli ho sputato in faccia. E ora c’è una denuncia da tre milioni di dollari. Queste sono stronzate del cazzo. Era come se avessi pensato ‘lascerei perdere questo tizio se non fossi nessuno?’ e la risposta fosse stata ‘no, col cazzo che lo farei!’”
Cercando di capire la storia chiedo a Eddie se stia parlando di James Gorman.
“Non so il suo cazzo di nome,” dice Eddie abbastanza incazzato da farmi rimpiangere di averglielo chiesto.
Allora cos’è successo?
“Devo aver parlato con qualcosa come due dozzine di persone quella sera in quel bar, e i nomi di almeno 20 di questi sono finiti sul mio tovagliolo, più uno che è finito sulla lista degli ospiti del nostro concerto successivo. E per quello che mi ricordo ho parlato con questo tizio per un po’. Sai,” dice interrompendosi all’improvviso, “non dovrei neppure parlare di questo perchè siamo ancora in causa, ma chi se ne fotte. Chi se ne fotte. Non ho fatto cazzate. Ero con Blackie ed Ed degli Urge. Ho parlato con questo tizio per un po’ e poi noi abbiamo provato ad andarcene. Ma questo tizio non la piantava. Doveva dirne ancora una. Doveva chiarire ancora qualche altro punto. E Blackie ha detto ‘Senti amico, mollaci, ce ne stiamo andando’ e il tipo ‘no, no. Devo dire ancora una cosa. Dobbiamo parlare’ e alla fine l’ho sbattuto contro il muro,” dice con la voce che diventa un empatico sussurro, “e io… gli ho… sputato… in faccia. Gran bell’affare del cazzo. Comunque, poi è scoppiato l’inferno. Ma non gli ho mai dato un pugno. Grazie a Dio. Perchè chi lo sa, avrei potuto fargli davvero male. Perchè poi ho capito che un mio amico si era fatto male. Era caduto sul cofano di una Jeep in strada. Così ecco un mio amico rispettato e pieno di talento che giace sull’asfalto privo di conoscenza per colpa di questo piccolo cazzone che continua a dirmi ‘Non sei il mio Messia, non sei il mio Messia’ e io a ripetergli ‘è quello che sto tentando di spiegarti, amico! È quello che sto tentando di spiegarti. Non sono il tuo cazzo di Messia!’ – queste sono le stronzate che succedono. Anche la scorsa notte, dopo che abbiamo suonato al Saturday Night Live c’è stato un’incidente. Qualcosa che mi ha violato. Qualcosa che non potevo controllare è successo e improvvisamente ci siamo trovati in questa storia e dico ‘Gesù cristo del cazzo, dopo tutto le cose che faccio, cazzo, c’è ancora qualcuno che non è contento. Che vuole di più’.”
“Sai, ci ho pensato a lungo e ho deciso di non dare più nulla. Come qualche giorno fa, c’era questo ragazzo che voleva fare delle foto con me e io non me la sentivo. C’era qualcosa che non andava. E lui ‘Dai, dai fammi fare una foto con te. Voglio avere una foto con te’ e io ‘Scusa amico, non posso farlo. Me la passo davvero male in questi giorni. Abbiamo appena perso Kurt tre giorni fa e io sono sconvolto.’ Ma lui proprio non ascoltava e continuava ‘Te lo devo dire amico, Kurt ha fatto una foto con me…’ e io ho detto ‘sì, e guarda ora dov’è finito, guarda che cazzo gli è preso’ – voglio dire, cosa stava cercando di fare quel ragazzo? Collezionava le nostre cazzo di teste? E sai, quel ragazzo la settimana prossima farà lo stesso con Bon fottuto Jovi o con qualcun altro.”
“Sai di che cosa ho davvero bisogno ora?” mi chiede improvvisamente. “Ho bisogno di sapere cosa vuole da me la gente. Ci sono tutte queste contraddizioni su quello che vuole la gente. E alla fine vuole troppo. Vuole che tu sia un leader. Vuole che tu sia una vittima. Vuole la tua cazzo di anima. Vuole tutto. E qualcuno di loro non la smette, è instancabile. E perchè dovrebbe fregarmene qualcosa? Non me ne dovrebbe fregare nulla, amico. Dovrei essere forte abbastanza da dire ‘non m’importa un cazzo, andate tutti a farvi fottere, non mi frega un cazzo, bastardi del cazzo’ e allora sarei veramente il portavoce di una generazione. Perché è pieno di gente che continua a dire ‘fanculo questa cazzo di merda. Fottiti.’ Sono ignoranti e sono felici che non freghi loro un cazzo di niente. Vedo un mucchio di gente qua fuori amico che è più che fottuta. Così forse dovrei preoccuparmi un po’ meno di loro, visto che loro non si preoccupano di me.”
Poco più di un mese fa, Kurt Cobain ha posto fine a quella che era diventata una terribile angoscia con un colpo di fucile che gli ha spazzato via la faccia. Si poteva pensare che sarebbe stata un’occasione per qualcosa di più complicato delle lacrime e del dolore. Ma per alcuni è stata un’opportunità per una maligna condiscendenza, un’opinabile voglia moralizzatrice e per qualcosa che si avvicina alla beffarda indifferenza. Secondo questa gente Kurt era un debole, patetico, piccolo stronzetto che ha portato la sua codardia al limite estremo. C’erano persone per cui Kurt non era nulla di più che un irritante poveretto che, avendo avuto successo, non faceva altro che lamentarsi di questo. Sto pensando in particolare a Chrissie Hynde e all’imbarazzante e mortificante intervista con la vecchia cara vecchietta un po’ suonata sull’NME la settimana dopo la morte di Kurt, che per la sua mera grossolanità era praticamente imbattibile.
“Quando lo capiranno il semplice cazzo di fatto che non è il successo il cazzo di problema? È uno stramaledetto onore che la gente ami la nostra musica e compri i nostri dischi e venga ai nostri concerti. È quello che succede quando tante persone cominciano a pensare che tu possa cambiare le loro vite o salvare le loro vite o qualunque altra cosa e creano queste cazzo di aspettative impossibili, è questo che alla fine comincia a distruggerti. È questo il problema. Se questo è il successo, che si fottano, io ci rinuncio. Il problema è che il successo, a qualunque livello, è difficile da gestire per la maggior parte dei musicisti. Perché? Perché tu non hai mai pensato che avresti davvero avuto successo. Voglio dire, ho incontrato davvero pochi musicisti che erano convinti che avrebbero avuto successo su larga scala. Per lo meno, molti pochi di quelli che mi piacciono. Se pensavano di essere destinati al successo allora probabilmente erano dei cazzo di bastardi di cui non mi fregava nulla. Così quando inaspettatamente hai più successo di quello che ti saresti mai immaginato, questo può essere qualcosa con cui fai davvero fatica a scendere a patti. E io penso che Kurt abbia dovuto affrontare davvero tanta merda. È come per Mike, il nostro chitarrista, si sta davvero rovinando. Si sta devastando troppo, fa stupide stronzate e io sono fottutamente preoccupato per lui.”
“Il fatto è che noi non siamo Madonna. Non mi importa di fare il suo nome perché lei è un buon esempio e sarebbe orgogliosa del fatto che io l’abbia nominata. Lei è qualcuno che riesce a manipolare i media, qualcuno che ha un nuovo look e un nuovo tema conduttore per ogni nuovo spettacolo. Lei orchestra questo tipo di anticipazioni e ci gioca. ‘Che cosa farà adesso? Dove andrà dopo?’ – ama l’attenzione. E guarda cosa deve fare. Deve scioccare la gente e spogliarsi e cose del genere. E mi spiace, ma è noioso, mi annoia a morte. Non ho bisogno di questo tipo di attenzione. E non penso che sia giusto che qualcuno critichi Kurt o me o chiunque altro per non volere alcun ruolo in questo. Perché questo non è il motivo per cui ci siamo finiti dentro. Ci siamo finiti dentro perché volevamo essere in un gruppo, suonare della musica, fare dei dischi. Fine della cazzo di storia.”
Eddie è stato tranquillo nell’ultimo paio di minuti. Così capisci che ha qualcos’altro in testa. “Il fatto è che tu diresti che il tuo ego diventa enorme a suonare davanti a tutta quella gente, con tutta quella gente che canta le tue canzoni. Il fatto è che tu non hai mai pensato di essere così bravo. Non ti senti di meritare tutta questa attenzione o adulazione. E così finisci, invece che ad avere un grande ego, a sentirti come se non valessi niente. Non puoi reggere il processo di glorificazione e questo ti fa sentire piccolo, ti fa sentire davvero di merda. Riceviamo migliaia di lettere ogni settimana da gente che vuole un qualche tipo di aiuto. Delle persone mi hanno mandato lettere dicendo che si sarebbero suicidate, e io allora le ho chiamate, e alcune di loro, amico, proprio non si potevano aiutare. Ma ti ritrovi in una posizione in cui cominci a pensare che ci deve essere qualcosa che tu possa fare. Così ora forse sono ancora più torturato, perché mi sento in dovere di fare qualcosa di più. Ma non posso aiutare tutti e se tu dici ‘Beh, aiuterò questa persona, ma non c’è nulla che possa fare in questo momento per quell’altra’ è anche peggio, perché allora cominci a comportarti come Dio. Perché ci sono sempre più persone che meritano di essere aiutate di quante tu ne possa aiutare.”
“È la stessa cosa che succede con le organizzazioni benefiche. Riceviamo costantemente lettere che ci chiedono di fare questo o quello. E sono tutte buone cause. Ma non li lascio nemmeno più avvicinare, perché se mi svuotano, non mi rimarrà più nulla. E delle persone mi hanno messo in guadia su questo, mi hanno detto ‘Non mettere a repentaglio quello che stai facendo musicalmente. Dalla tua musica tutti possono tirare fuori qualcosa, e non ti dovrebbe essere richiesto di fare nient’altro. Se metti tutto quello che hai nella musica aiuterai più persone di quante tu possa immaginare’ e ho capito che queste persone probabilmente hanno ragione. Perché se ti perdi in queste situazioni e circostanze individuali, se ti lasci trascinare troppo dentro, rischi di perdere il controllo della tua vita e di quello che stai facendo. E allora sì che diventeresti inutile, almeno per quanto riguarda la musica, e alla fine tu questo devi proteggerlo. Tutte queste grida d’aiuto, è facile sentirle ed è facile entrarci. Ma è quasi impossibile fare qualcosa. E questo può essere fottutamente difficile da accettare, ma è la triste e fottuta verità.”
Lasciatemi dire che Eddie mi ha raccontato di una lettera in particolare. Era di un ragazzino di 13 anni che si chiamava Michael e riguardava sua madre. Questa donna, abbandonata dal marito che l’aveva lasciata sola a crescere tre figli, puliva i bagni, consegnava la posta, qualsiasi cosa le facesse guadagnare abbastanza soldi per poter entrare in un college. Alla fine prese un diploma. Poi ebbe un incidente, si ruppe un’anca, non poteva camminare, non poteva lavorare. Il giorno di San Valentino dell’anno scorso provò a suicidarsi. Eddie fu toccato da questa lettera, si interessò, provò a dare quella che lui descrive come una risposta utile.
La mattina dopo l’intervista, mi svegliai nella mia camera d’albergo e trovai una busta infilata sotto la porta. Era di Eddie, una nota e la lettera che la madre di Michael gli aveva mandato per ringraziarlo per tutto quello che aveva fatto per lei. La lessi a colazione, con un brivido lungo la schiena.
Ti chiedi come fai a convivere con cose come questa, uno dei tanti piccoli sconvolgimenti della vita e le responsabilità che ti assumi quando, come Eddie, ti impegni così a fondo. E sei felice che probabilmente non lo scoprirai mai. Perché con un’altra lettera come questa daresti i numeri, non c’è alcun dubbio su questo.
Di nuovo al Paramount. L’intervista sta finendo quando arriva Steve Gullick.
Gli hanno detto che può fare foto solo durante la prima canzone, senza flash e da un angolo lontano del palco. “Stronzate,” dice Eddie, “fai tutte le foto che vuoi, da dove vuoi, per quanto tempo vuoi, e se qualcuno ti rompe il cazzo, di’ loro di venire a parlare con me.”
Steve chiede se può fare un paio di foto nel camerino.
Eddie dice di sì e va a prendere la chitarra.
“Andiamo lì,” dice. Cammina verso l’angolo doccia e apre l’acqua. Poi prende il mio accendino e comincia a bruciare il tappo della bottiglia di vino che abbiamo appena scolato e a dipingersi la faccia, disegnando dei cerchi neri attorno agli occhi e una croce sulla fronte.
“Questo ti farà sembrare così strano,” gli dice Gullick.
“Lasciami essere strano quanto cazzo mi pare,” dice Eddie. “È la mia cazzo di vita.”
Photos © Steve Gullick