Seattle sound, more sound
Intervista a Jeff Ament
by Alan Sculley
Boulder Weekly | 27 Marzo 2003
Traduzione a cura di Wma1979
I Pearl Jam non potranno mai più vendere più di 5 milioni di copie di un album nel modo in cui l’hanno fatto all’inizio degli anni ’90, quando i loro primi tre cd, Ten, Vs, Vitalogy li hanno resi i leader del grunge rock e forse la più importante rock band. Oggi il successo del gruppo è assai inferiore, in quanto con i recenti album come Yield, Binaural e quello appena pubblicato- Riot Act – si sono fermati a circa un milione di copie. I Pearl Jam sono ancora una band in grado di essere headliner nelle arene, ma i loro tour non creano più il trasporto che un tempo li supportava.
La vita dentro i Pearl Jam è probabilmente la migliore di sempre, comunque. Ciò che si tirerebbe fuori parlando col bassista Jeff Ament della vita e dei momenti del gruppo nei dodici anni passati dalla nascita della band di Seattle è al massimo questo: “E’ forse il paragone più utilizzato di tutti i tempi, ma lo puoi paragonare ad un matrimonio”, dice. “C’è la luna di miele, che è il nostro primo disco, o i primi due. Poi d’improvviso diventa ’ok, noi siamo insieme da cinque anni e non sappiamo come parlare l’un l’altro’ Così bisogna imparare a comunicare. Se superi quel periodo, allora si aprono giorni di gloria”.
Dopo il loro iniziale successo, tutto era certo tranne che i Pearl Jam potessero sopravvivere al periodo post-luna di miele. Specialmente attorno al ’96, quando uscì No Code, i rapporti all’interno della band erano logori e molti membri della band, Ament incluso, sentivano la loro creatività soffocata.
Questo è cambiato, come testimoniano i crediti dei testi delle canzoni di Riot Act. Il cantante Eddie Vedder rimane il principale autore dei testi, Ament ha un solo testo (Help Help) e ha scritto a quattro mani altri due pezzi. Il batterista Matt ne ha scritte tre. Il chitarrista Stone Gossard ne ha co-firmate due. Solo il chitarrista Mike McCready non ha firmato nulla, all’infuori di Save You con tutto il gruppo.
Per un periodo, questo chiaramente non è stato l’ambiente nei Pearl Jam. “C’è stato un periodo, come in Vitalogy e un po’ in No Code, che la band era più la band di Ed”, dice Ament, che dice di aver pensato di andarsene dai Pearl Jam nel tempo “Credo che lui voleva vedere cosa riusciva a fare, quanto lontano riusciva ad andare. Nel periodo di Yield, ma anche verso la fine di No Code, penso che fosse solo esausto della responsabilità di tutte queste canzoni, tanto che Eddie ha detto “Non posso più farlo”.
Le vendite dei dischi della band non lo riflettono, ma Yield, Binaural e ora Riot Act hanno dimostrato che ogni membro aggiunge una dose rilevante di creatività. Cameron, che dopo essere stato batterista dei Soundgarden si è unito ai Pearl Jam per Binaural, offre uno dei momenti musicali più intriganti di Riot Act, un album che rivela i migliori sforzi della band.
“You Are”, un pezzo che, a parte le parole di Vedder, è stato scritto da lui, e rivela che Cameron suona molto bene la chitarra, che la rende una delle tonalità più impressionanti del disco. Get Right, un’altra canzone di Matt, è una delle più esplosive di Riot Act. Ament dimostra la sua presenza in Help Help, una traccia che varia tra tempo malinconico e rock pieno, e in 1/2 full, un pezzo rock che passa con fragore tra i battiti appuntiti e la linea di chitarra acuta.
Vedder, di certo, è la figura principale, come primo paroliere e scrittore principale del pezzo folk acustico “Thumbing My Way”, la furiosa e rock “Save You”, e “Love Boat Captain”, un pezzo epico che cresce dopo un’apertura attenuata e apre in uno dei momenti più potenti di Riot Act. Dopo aver compreso il processo di scrittura della band, e come ogni membro impara ad essere più aperto ad esprimere i propri sentimenti all’interno della band, Ament dice che a livello musicale vede grande differenza tra i Pearl Jam di oggi e di ieri.
“Penso che principalmente, siamo musicisti migliori”, dice. ”Per diverse ragioni. In gran parte è dovuta al fatto di suonare di più, la ripetizione di questo. Ma l’altra ragione è che ci fidiamo davvero l’uno dell’altro. Se uno crede all’altro in un rapporto di amicizia, penso che puoi davvero portare la chimica della band ad un livello superiore. Stai su, e non hai nulla dietro. Tu stai dando tutto quello che puoi nella canzone. Non c’è nessun tipo di viaggio personale in cui cerchi di mettere dentro il tuo strato di lavoro e che forse ti allontaba dalla canzone”.
I Pearl Jam suonano alle 7:30 p.m. di martedì 1 Aprile al Pepsi Center, 1000 Chopper Circle, Denver. Costo dei biglietti $39.
Out of its shell
Intervista a Jeff Ament
by Mark Brown
Rocky Mountain News | 29 Marzo 2003
Traduzione a cura di Acrobat
Per i fan questo è quello che c’è da aspettarsi dai Pearl Jam: un nuovo bellissimo disco, un lungo tour a seguire, con biglietti mantenuti a prezzi ragionevoli.
La verità è che questo è l’inizio di una nuova era per la band di Seattle.
Cosa fai quando sei una delle più grandi band del mondo e improvvisamente non hai più bisogno di una casa discografica?
Nessuno è mai stato in questa posizione prima – non qualcuno con così tanto potere commerciale comunque – quindi i Pearl Jam si stanno dirigendo verso un territorio inesplorato. Con una base di fan intensamente leale, una resurrezione creativa e un futuro aperto, la band diventerà libera quest’anno: nessuna casa discografica, nessun legame.
L’inizio del tour americano al Pepsi Center martedì è veramente l’inizio di una liberazione. La maggor parte delle band a questo punto si sono consumate: hanno finito la benzina oppure hanno perso l’entusiasmo e i fan.
“Penso veramente che stiamo entrando in una nuova era. Scriviamo le nostre regole e andiamo avanti”, dice il bassista Jeff Ament. “Alla fine significherà più musica. Quella è la cosa più imporatante”.
E l’esaurimento non è dietro l’angolo.
“Più di tutto voglio bene a questi ragazzi in quanto amici. Dopo un po’ di tempo iniziano a mancarmi. Non so se loro sentano la stessa cosa verso di me, ma è la bellezza di invecchiare un po’. Tutti questi viaggi dell’ego che ognuno si fa… quella roba è un po’ sparita”, dice Ament dal suo nascondiglio a Missoula, Montana, il suo stato natale.
Prince si è separato dalla Warner Records negli anno ’90, ma il suo comportamento in seguito è stato così eccentrico da alienare la maggior parte dei suoi fan. Sebbene sia stato efficace nel rilasciare i suoi dischi, la sua eredità di tour cancellati e uscite cancellate lo ha lasciato con una reputazione in crisi.
I Pearl Jam non affronteranno niente del genere. Sanno cosa stanno facendo. Dal mantenere i prezzi dei concerti bassi alla battaglia contro la Ticketmaster alla registrazione dei loro concerti, i Pearl Jam hanno sempre saputo cosa fare della loro attività.
“Siamo abbastanza in controllo della cosa, sfortunatamente”, dice Ament con una risata rassegnata. “La cosa grandiosa adesso è che siamo liberi dal contratto. Pubblicheremo un album di b-side, ma tecnicamente non siamo più sotto contratto. È un momento piuttosto eccitante per avere quel tipo di libertà.”
Quel disco di rarità sarà un doppio con circa 25-40 canzoni, dice Ament, ma dopo la band sarà libera, in un momento in cui è ancora vitale, ancora scrive hits, e con una base di fan che non se ne andrà.
Scrutando i loro idoli
È impressionante per ogni band, ma ormai è da più di dieci anni che i Pearl Jam – Ament, il cantante Eddie Vedder, i chitarristi Mike McCready e Stone Gossard ed il batterista semi-nuovo Matt Cameron – sono comparsi sulle scene dell’allora vivacissima Seattle. Si può descrivere la band tramite le hits che sono passate per radio – Better Man, Black, Daughter, Alive – canzoni che sarebbero bastate per la carriera di qualsiasi band. Ma i Pearl Jam hanno canzoni ancora migliori sotto la superficie – Nothingman, Not For You, Yellow Ledbetter, Wishlist, Given to Fly, la provocatoria Indifference.
Lungo il percorso, hanno gemmato cattive imitazioni come i Creed, ma sono anche riusciti a guardare da vicino i loro idoli, le collaborazioni con Neil Young, gli Who ed altri, come il recente lavoro con l’ex chitarrista degli Smiths, Johnny Marr (“che figata, Johnny è un grande”).
“La persona con cui volevamo veramente suonare avrebbe dovuto essere in tour con noi” dice Ament tristemente, ma un attacco di cuore a dicembre ha messo fine alla cosa. “Joe Strummer. È un dolore immenso. Eravamo devastati. Erano degli eccentrici. Stava per uscire un loro disco. È stato abbastanza tragico.”
Il tour comincia qui
Il tour inizierà martedì a Denver perchè volevano una città ragionevolmente vicina via auto da Seattle, dove c’è la loro attrezzatura. Sono stati vagliati diversi itinerari.
“Il primo nome che ho visto sul programma è stato Colorado Springs. Ho detto ‘OK, se questo è il modo in cui volete iniziare il tour’… e non so come, ma la cosa è magicamente cambiata. Qualcuno nella stanza dei bottoni ha dirottato verso il Pepsi Center”, dice Ament con una risata.
La band ha sempre avuto feeling con queste zone, nonostante un incidente a Boulder che ha provocato una citazione temporanea per Vedder dopo che il cantante è rimasto coinvolto in una rissa con membri della security causata dal problema della distanza del pubblico (molto anni ’90). Le accuse alla fine sono state ritirate.
C’era un po’ di preoccupazione sull’andare in tour in periodo di guerra, ma non abbastanza da spaventare la band. “Per noi è fantastico andare là fuori. Possiamo raccontare le storie che ci hanno raccontato Michael Moore e altri”, dice Ament. “Possiamo anche sentire i punti di vista degli altri, anche di persone che sono a favore della guerra. In situazioni come questa, comunicare è la cosa più importante”.
La band ha appena concluso il tour in Australia e in Giappone, dove le tensioni si sono fatte forti almeno quanto qui. “In Australia hanno un primo ministro, John Howard, che è pro-Bush, con il 90 percento della popolazione contraria.” Dice. “Tre milioni di persone su undici milioni di abitanti”.
Le setlist cambiavano radicalmente ogni notte, con la band pronta ad alternare almeno 60 canzoni ogni notte, provandole ad ogni soundcheck. “L’obiettivo di breve termine è cercare di suonare un po’ di tutto. Per la fine del tour vorremmo aver suonato ogni canzone (del repertorio) almeno una volta”, dice Ament. “Rende le cose interessanti ai soundcheck: ‘proviamo Hard to Imagine, non la suoniamo da due anni’ – cose così”.
Alcune colonne – tra cui le hit Corduroy, Black e Daughter – sono in scaletta praticamente ogni notte. Sono canzoni infiamma-pubblico, ma non sono lì per quello. “Sono diverse per diverse ragioni. Daughet ha una vita sua alla fine; è un supporto su cui Ed può dire quello che sente, o per una nostra jam. Black è un’occasione per noi per sederci e guardare Mike sounare. Cambia il suo assolo ogni notte. È una figata per noi.”
Tutti sono coinvolti
La band lavora ancora in quasi-democrazia, dove ognuno può provare a scrivere canzoni, arrangiarle, collaborare all’artwork, alle magliette, a qualsiasi cosa. Ament collabora con l’artwork di ogni album, arrivando a scattare la copertina del nuovo album, Riot Act, e la maggior parte dell’interno.
La band è sempre stata molto collaborativa; Ament è co-autore di alcune delle migliori canzoni dei Pearl Jam, come Jeremy, Corduroy, Daughter e Nothingman. Ma la band lasciava la maggior parte dei testi a Vedder, pensando che fosse così che lui voleva. Hanno cambiato metodo durante le registrazioni di No Code nel 1996.
“Fino al punto in cui Ed rimaneva un mese chiuso per finire i testi”, dice Ament. “fino al punto in cui lui ha detto ‘ragazzi, non ce la faccio più. Non posso più fare tutto da solo.’ Penso che tutti abbiamo pensato ‘OK, dal prossimo disco tutti arriveremo con delle canzoni.’ E così è stato. E con grande merito di Ed, lui ci ha incoraggiato. È stato un passo enorme per la band, ha permesso a tutti di essere ancor più motivati nelle registazioni dei nuovi dischi.”
La band entra in studio con un po’ di canzoni che sembrano perfette per i Pearl Jam, ed altre che sembrano totalmente inadatte. “Spesso sono le canzoni verso cui tutti siamo attratti, quelle al di là di quelli che definiresti i confini dei Pearl Jam”, dice Ament. “Help Help è un buon esempio. You Are, che è una canzone di Matt, è basata su un riff di chitarra suonato con una drum machine. Io mi esalto ogni volta che andiamo fuori dai confini”. Sul primo album della band, Ten, ci sono canzoni come Oceans e Release. “Questo è fino a dove vogliamo estenderci ora. Quelle canzoni devono essere dove sono, rappresentano una meta da raggiungere”.
L’affronto dei biglietti
Per molti, i Pearl Jam saranno sempre sinonimo di Ticketmaster, dato che la band ha portato in giudizio quello che riteneva essere un monopolio sui biglietti a metà degli anni ’90. Hanno imparato la lezione – in primo luogo che aver ragione non significa necessariamente che vincerai. Infatti la band suonerà in un evento promosso da Clear Channel in un’arena chiamata Pepsi Center con biglietti venduti da Ticketmaster.
Ma furono infastiditi quando arrivarono a suonare nelle arene e scoprirono che non solo dovevano usare la Ticketmaster, ma che la compagnia cercava di minare i loro sforzi di mantenere i prezzi bassi. “Quando successe la cosa con la Ticketmaster, quello che cercammo di dire fu ‘aspettate un attimo: questi tizi mangiano una fetta della torta grande come la nostra.’ Cercavamo di tenere i prezzi bassi per scoprire che facevamo 4 dollari su ogni biglietto venduto – ecco quello che ci arrivava dei 20 dollari. Abbiamo pensato ‘questo non è giusto’. Era la nostra vita: eravamo 5 ragazzi che mettevano anima e cuore in qualcosa per guadagnare 4 dollari, esattamente la stessa cifra di questi tizi che stampano semplicemente i biglietti. Non riuscivamo a credere alla faccia tosta di un’azieda che ci diceva ‘andate al diavolo, abbiamo accordi con ogni stadio nel paese’. Abbiamo detto: questo ci sembra un monopolio, ed è illegale in questo paese”.
“Sembra un”, ecco le parole chiave per la band. Dopo essere arrivati fino a Capitol Hill, la causa della band – e di altri artisti che si erano coalizzati attorno a loro – è stata archiviata dal Dipartimento di Giustizia, che ha deciso di non proseguire nell’inchiesta. “Siamo andati avanti il più possibile, finchè le nostre tasche non ci hanno più permesso di prendere altri avvocati.”, dice Ament. “Alla fine siamo riusciti ad informare molte persone”.
E come prezzo da pagare, la battaglia ha tenuto i Pearl Jam lontani dai palchi per un po’, e ha fatto sì che suonassero in posti sperduti in cui la Ticketmaster non aveva accordi. La band ha ostinatamente continuato a scegliere arene in mezzo al nulla per rimanere fuori dalla portata della Ticketmaster e questo, dice Amen,t è costato un po’ di fan. “Quando crei loro troppi problemi, dicono ‘chissenefrega, andrò a vedere gli U2’. Siamo arrivati ad un punto in cui abbiamo iniziato a dar loro ascolto. Non solo stavamo rendendo tutto duro per noi stessi, ma anche per i nostri fan e la nostra crew. Oragnizzavamo concerti dal nulla. Li rendevamo poco sicuri. Stavamo per suicidarci con questo orgoglio di non scendere a patti con il diavolo”. Capirono che la Ticketmaster li teneva in pugno: se volevi suonare, non c’era scelta.
Hanno comunque mantenuto prezzi più bassi di almeno 35$ rispetto ad altri artisti come Dave Matthews, Bruce Springsteen e Bob Dylan. Nonostante ciò, con tutte le maggiorazioni della Ticketmaster non si scende sotto i 47.95$ a biglietto.
Alle loro condizioni
Quella lunga battaglia ha fatto sì che ora affrontino questo periodo di libertà con gli occhi aperti. “Non esiste che noi entriamo nel business della distribuzione o cose simili”, dice Ament. “Vogliamo lavorare con un’etichetta che sia eccitata dalla tecnologia e voglia lavorare con la tecnologia – download via internet, cose del genere. Ecco cosa sta incasinando tutto, nessuno sa come affrontare questa cosa”.
“Credo che anzichè combatterla ci sia un modo per aggirarla”, dice Ament. “ Possiamo mettere cd live nelle mani delle persone entro tre giorni dal concerto. Per me tutte quelle preoccupazioni sull’avere la musica su internet prima di poterla vendere sono ridicole”.
Infatti il ritardo dell’industria discografica nel pubblicare i dischi “è stato sempre una frustazione. Finisci il tuo disco, poi passano tre mesi per la registrazione, l’artwork e tutte le altre cose. A volte questo toglie un po’ di entusiasmo – finiamo il disco e diciamo ‘ragazzi, non vedo l’ora di suonare queste canzoni dal vivo’, e ci dicono che sarebbe meglio iniziare il tour sei settimane dopo l’uscita del disco, ed io penso che sono tutte sciocchezze. Non vediamo l’ora di fare il prossimo disco alle nostre condizioni e seguire il nostro istinto in merito a quanto in fretta vogliamo iniziare a suonarlo”.
Pearl Jam kicks of North American tour
Intervista a Jeff Ament & Mike McCready
by Gary Graff
UPI | 31 Marzo 2003
Traduzione a cura di Acrobat
DETROIT – Ai fans dei Pearl Jam piace quando la rock band di Seattle suona dal vivo. Ancora di più se possono continuare ad ascoltare gli show.
Mentre il quintetto inizia il suo primo tour in Nord America dopo quasi tre anni martedì prossimo a Denver, continuerà l’abitudine iniziata con il tour del 2000 di pubblicare le registrazioni live di ogni show. La serie di 72 titoli del 2000 ha sorpreso il mercato vendendo più di un milione di copie.
Quest’anno i Pearl Jam renderanno le registrazioni – supervisionate dall’ingegnere del suono Brett Eliason – disponibili sul sito pearljam.com . Fino ad oggi la band ha pubblicato 15 shows dal tour che ha toccato Australia e Giappone e i membri del gruppo pensano che questi siano ancora meglio. “Penso che tutta quella roba sia molto migliore”, dice il bassista Jeff Ament, che ha co-fondato i Pearl Jam insieme al chitarrista Stone Gossard nel 1990. “C’erano alcune cose come il suono della batteria che credo si potessero migliorare, e così è stato fatto”.
Il chitarrista Mike McCready nel frattempo si dice sorpreso dalla fame che i fan dei Pearl Jam sembrano avere per le loro registrazioni live. Nel 2000, ci dice, “mi sono sentito tipo ‘oddio, stiamo pubblicando 72 dischi, è completamente auto-indulgente o è un’esagerazione? ono contento che alla gente siano piaciuti. È stato bello poter dare fotografie degli show. Se qualcuno era a Cleveland o a Seattle o altrove, hanno potuto godersi lo show di nuovo”.
Ament, che fino ad ora consiglia ai fas di comprare lo show del 23 febbraio a Perth, Australia e quello del 1° marzo a Yokohama, Giappone, dice che è contento di come la band sta suonando in questo tour, in supporto all’album in studio Riot Act del 2002.
E’ particolarmente felice del fatto che non c’è voluto molto ai Pearl Jam per raggiungere gli standard di performance che il gruppo ha stabilito fin dai primi anni ’90.
“Ci abbiamo sempre messo una settimana, dieci giorni”, ci dice Ament al telefono dalla sua casa di Seattle. “Ma questa volta… il secondo show che abbiamo fatto, a Brisbane, è stato veramente, veramente buono. Mi ricordo che dopo il concerto mi sono detto ‘stiamo migliorando. Entriamo nella cosa più velocemente”.
Il tour del 2003 ha anche un risvolto di business interessante per la band. Il contratto del gruppo con la Epic Records è terminato e, come ci dice Ament, lui e i suoi compagni – McCready, Gossard, il frontman Eddie Vedder e il batterista Matt Cameron – stanno considerando diverse opzioni per il futuro.
I Pearl Jam, ci dice, sono stati apertamente corteggiati da diverse major discografiche – inclusa la Epic – ma il successo dei live album e degli altri progetti che il gruppo porta avanti attraverso l’organizzazione dei fan, il Ten Club, ha fatto sì che i Pearl Jam stiano considerando il tenere le cose più sotto il loro controllo. “E’ bello essere arrivati a questo punto, dopo il nostro settimo disco, ed essere liberi da contratti”, dice Ament. Il prossimo anno, decideremo come vogliamo fare dischi e pubblicarli. Penso che possiamo fare quello che vogliamo. Penso che abbiamo una nuova possibilità nelle nostre vite. Ci sentiamo di poter sperimentare ancora un po’ di più, e questo ha dato a tutti ancora più energia.”
Pearl Jam: Inciting a ‘Riot’
Intervista a Mike McCready
31 Marzo 2003
Nel 1993 Eddie Vedder troneggaiva sulla copertina di Time Magazine, una figura riluttante nel panorama del grunge di Seattle. Dieci anni, sette album in studio e un mucchio di bootleg dopo, i Pearl Jam hanno sconfitto la proverbiale tempesta di scioglimenti, musica banale e band riciclate da un solo singolo che erano solo veicoli per un movimento, un suono, un momento o una data. Invece, Eddie Vedder, Mike McCready, Stone Gossard, Jeff Ament e il (più recente) batterista Matt Cameron hanno trasceso il movimento che hanno capeggiato, diventando pionieri di un rock revisionista. Anzichè mantenere il tono, lo stile e l’energia del primo album, i Pearl Jam hanno cambiato strada, hanno sperimentato e sono cresciuti come musicisti, a volte con l’appoggio della critica, a volte no – e a volte con loro stesso dispiacere.
“Abbiamo ostinatamente cercato di estendere la nostra creatività, a volte a nostro stesso danno, altre volte in maniera grandiosa”, dice il chitarrista Mike McCready. “Vuoi sempre migliorarti come artista ed espandere i tuoi orizzonti musicali in qualsiasi modo, registrando qualcosa in maniera originale oppure guardando una canzone da un’angolazione differente, anzichè fare la stessa cosa ancora e ancora perchè sarà sicuramente una hit. Questo perchè non sai mai come sarà una canzone di successo. Le band non lo sanno, e neanche le industrie discografiche. Cerchi di migliorarti come artista. Musicalmente, questo suona come una cosa nuova e la nostra produzione ne è un esempio.”
Nonostante l’aver ampliato i confini del loro status di rock band, l’assalto della popolarità ha quasi spaccato la band. Voci di uno scioglimento si fecero insistenti a metà degli anni ’90, con la possibilità di un allontanamento di Vedder sempre presente. “Ci sono state delle volte, in viaggio, in cui lui era su un furgone e noi su un aereo, verso il ’95-96”, dice McCready, “quindi abbiamo dovuto metterci attorno ad un tavolo e dire ‘cazzo, vogliamo ancora essere una band e tu vuoi ancora farne parte?’”
McCready cita la pressione su Vedder come uno dei principali problemi che la band ha dovuto fronteggiare, ma la vicinanza sia come membri della band sia come amici ha permesso ai Pearl Jam di andare avanti a lavorare insieme. “Era esaurito”, dice McCready dello spesso timido frontman dei Pearl Jam. “A volte prendevamo strade diverse, la band e lui. Ci sono stati momenti così. Devi solo passarci attraverso. Devi aprire linee di comunicazione. Devi dare voce ai tuoi risentimenti e alle tue preoccupazioni, altrimenti ti distruggi”.
La band si è ritirata dalle luci dei riflettori, rifiutando di fare video e focalizzandosi su ciò che sembrava secondario in una cultura figlia di MTV: la musica. Sono stati etichettati come anticonformisti, guadagnandosi lodi e critiche, ma questa mossa ha rappresentato una dichiarazione di quelle che sono i loro ideali e suoni caratteristici, dando alla musica una connotazione di realtà. “Individualmente, siamo simili”, dice McCready della popolarità derivante dal successo dei Pearl Jam. “Non andiamo alle feste di Hollywood e non facciamo quel genere di cose. C’è tutto un lato della popolarità che è fatto di cazzate, ma a noi piace semplicemente fare musica. Cerchiamo di ricordarci di quando non potevamo farlo o lavoravamo sodo per potercelo permettere.”
Le loro scelte hanno avuto conseguenze sia positive che negative, togliendo popolarità alla band ma mantenendone intatti gli ideali. “Penso che come band abbiamo fatto un passo indietro in un momento cruciale in cui era tutto così enorme e questo era insostenibile per Eddie”, dice McCready. “In quel momento la band ha detto ‘ok, facciamolo, è quello che abbiamo sempre voluto’. Ma se avessimo continuato in quel modo, facendo video e migliaia di interviste, avremmo potuto non sopravvivere e Eddie avrebbe potuto andarsene e avremmo finito per fare solo due dischi”.
I Pearl Jam iniziano il loro tour americano a Denver il 1 Aprile con un’esperienza di oltre dieci anni di collaborazioni e influenze, dai progetti paralleli nati da anni passati in altre realtà come i Mother Love Bone per Gossard e Ament, gli Shadow per McCready e i Bad Radio per Vedder. È questa esperienza in una miriade di progetti paralleli, oltre al fatto che i membri della band non si vedono quotidianamente, che ha dato loro un senso di longevità e ha permesso ad ognuno di portare molto al tavolo creativo.
“E’ come se fossi responsabile di quelle cose. Devi calarti in un altro ruolo”, dice McCready apprezzando il momento di pausa come una vacanza estiva. “Ti dà molda sicurezza tornare nella band. È divertente giocare con gli amici per raccogliere idee differenti. Dopo però, quando rientri nella band è come tornare a casa.”
Riot Act per certi versi non è rappresentativo dei Pearl Jam di ieri e dei loro interessi. I temi princiapli sono ben al di là di quelli che un giudizio affrettato potrebbe immaginare. I loro fan e il loro posto nella musica sono cambiati. “Credo che abbiamo perso dei fan negli anni ma auspicabilmente ne abbiamo acquistati altri”, prova a dire McCready. “Ma se non fai interviste nel mondo di oggi tendi ad essere dimenticato perchè è una società così attenta ai media e all’ultima novità. Ma rischi anche di perderti in questo processo”.
McCready ha anche una certa fede nella musica stessa, citando il successo dei Phish, una band che non conosceva finchè non vide Trey Anastasio al Saturday Night Live. Come i Pearl Jam, i Phish si sono ritagliati un posto lontano dal luccicante mondo di MTV. “Li guardo e credo che quei ragazzi stiano facendo molto bene anche se non fanno video o cose del genere. Il genere musicale è completamente diverso ma credo che anche noi siamo in quella nicchia”.
Questa radice sociale della musica della vecchia scuola potrebbe essere il motivo per cui MTV non è più interessata al lavoro della band. Infatti, il network si è dichiarato non interessato quando ha ricevuto un video dei Pearl Jam, un cambiamento ironico rispetto a quello che era stato l’atteggiamento della band all’arte dei video. “Adesso quando mandiamo cose a MTV, loro non le vogliono! Credo si considerino oltre”, dice McCready.
Ma questa non è una cosa negativa per i vostri ascoltatori?
“E’ difficile interessarsi”, dice McCready sull’attuale palinsesto di MTV. “Alcune cose sono molto orecchiabili. Altre sono versioni sciatte di cose fatte in precedenza. Forse siamo stati accusati anche noi della stessa cosa. Le persone trovano un certo sound e lo trasformano in un prodotto di massa”.
Eppure McCready è ottimista circa lo stato del rock, citando gli Strokes o gli ibridi di Rage Against the Machine e Soundgarden – gli Audioslave.
Riot Act affronta diversi temi e in un momento storico particolare come questo non ha paura di tuffarsi nelle complessità della politica e dell’avarizia, l’emozione dell’11 settembre o di un concerto in Danimarca che è costato la vita a 9 fan. Sono temi che Vedder sembra scavare dal profondo e presentare in canzoni come Love Boat Captain e Cropduster. Oppure in Green Disease e Help Help, dove la politica, l’avidità e il denaro fanno la loro amara comparsa. Eppure Riot Act mostra anche le migliori finezze artistiche dei Pearl Jam. Thumbing My Way, una ballata folk in cui Vedder e la sua chitarra acustica sono al loro meglio, potrebbe essere una delle canzoni più belle della band. Tracce come Can’t Keep, Get Right e Save You aumentano il livello dei decibel, in ricordo delle canzoni-inni che Vedder e soci hanno eseguito con precisione per anni.
Per McCready i concerti sono un modo per sottolineare e completare quello che la band ha realizzato in studio, e un’occasione per collaborare creativamente sul palco. “E’ indicativo di quello che ogni membro ha ascoltato nell’ultimo periodo”, spiega McCready. “Magari vieni da una fase blues o jazz o punk rock e questo influisce decisamente sul tuo modo di fare musica”.
Canzoni come Save You – scritta da McCready – sono momenti speciali per i chitarristi, come altre canzoni in cui il suo apporto è stato inferiore. “Era una specie di riff punk rock che ho provato. È divertente da suonare live e penso che alla gente piaccia. Mi piace Help Help, una canzone di Jeff. Faccio un assolo su quella. Una cosa che mi piace di questo disco è che faccio un sacco di assoli”.
È un momento interessante per la band, trovatasi nella situazione di cinque membri che possono scrivere canzoni, invece di un unico songwriter che spesso prende il controllo di tutto. È una comunicazione che spesso catalizza la musica, che motiva ogni membro della band. “Eddie non ha mai cantato meglio, è molto coinvolto. Lo è sempre stato, ma mai come adesso. Adesso spacca veramente”.
Il tour Nord Americano inizia a Denver, ma non è intenzione della band rallentare in questo momento. Oltre alla compilation di b-side che sarà pubblicata a breve, dopo che la band ha setacciato più di 50 tracce, probabilmente torneranno in studio per registrare un nuovo album, un’altra occasione per McCready per mettere in mostra i propri assoli, così distintivi della produzione dei Pearl Jam. “Ogni volta che devo farne uno, impazzisco, perchè è quello che mi piace fare”.
I Pearl Jam suoneranno al Pepsi Center di Denver martedì 1 aprile. Lo show inizierà alle 7.30 p.m.