Intervista a Eddie Vedder
Daily Telegraph | 20 marzo 2009
By KATHY MCCABE
Traduzione a cura di As_It_Seems
Sono passati 18 anni da quando i Pearl Jam hanno fatto entrare l’alternative rock nel mainstream con il loro album di debutto Ten. Da allora il quintetto di Seattle, la cui line-up è rimasta solida dal momento in cui l’ex batterista dei Soundgarden, Matt Cameron, si è unito a loro nel 1998, si è fatto strada con determinazione.
Il loro disagio nei confronti del fenomenale successo di Ten – ha venduto più di 12 milioni di copie – ha portato la band a rifiutare di fare video e a lamentarsi del fatto che il disco è stato “over-rocked” durante il mixaggio.
I Pearl Jam stanno guardando indietro alla loro carriera, solo perché hanno l’opportunità di correggere quello che secondo loro non andava in Ten.
Hanno arruolato il loro produttore storico Brendan O’Brien per mixare Ten nel modo in cui originariamente volevano che suonasse.
Il frontman Eddie Vedder concorda che non è nella natura della band rivisitare il loro cammino, particolarmente in questo momento mentre stanno lavorando al loro nono album.
Vedder ricorda i primi 10 anni di carriera della band come un folle sbattimento per venire a patti con il successo e con i cambiamenti che avrebbero avuto un impatto su questa ristretta squadra di musicisti che erano sopravvissuti a lungo prima di diventare i Pearl Jam.
La maggior parte dei fans dell’era grunge dovrebbero sapere che i Pearl Jam nascono dalle ceneri di due band di Seattle, i Green River e i Mother Love Bone, quest’ultima disintegrata prima di riuscire a pubblicare l’album di debutto, Apple, dopo la morte per overdose del frontman Andrew Wood.
“E’ interessante, perché siamo simili a quello che eravamo allora ma, come tutti, siamo cambiati.
“Che sia o no perché abbiamo famiglia, siamo cittadini più impegnati adesso. Prima eravamo solo ragazzini ribelli mentre ora veniamo a patti con la nostra ribellione in maniera intelligente” dice Vedder, ridendo.
“Quando chiediamo a noi stessi come possiamo fare la differenza, non è un approccio anarchico, il modo in cui reagivamo come persone più giovani.”
I musicisti hanno sempre una relazione di amore/odio con le canzoni che li hanno resi famosi nel mondo. Ma Vedder dice che i Pearl Jam hanno mantenuto il legame con le canzoni con le quali si sono fatti un nome, continuando ad eseguirle dal vivo.
“Ad ogni concerto, ci troviamo a convivere con le canzoni che abbiamo registrato 18 anni fa. Pezzi come Black … ogni volta che la canto, la canto nello stesso modo in cui l’ho cantata la prima volta. E’ come guardare vecchie fotografie ogni sera” dice.
“Ma adesso le suoniamo anche per persone nuove, che mi fa pensare che la band è ancora in ottima salute.”
Nei loro tentativi di dare ai loro fedeli fans alcuni preziosi extra con la ristampa 2009 di Ten, i Pearl Jam hanno tirato fuori dagli archivi delle gemme – il demo tape Momma-Son, nel quale Vedder sovrappone la sua voce a tre pezzi strumentali inviatigli dal bassista Jeff Ament e dai chitarristi Stone Gossard e Mike McCready nel 1990.
Quelle canzoni lo portarono ad essere invitato ad unirsi alla band e più tardi diventarono Alive, Once e Footsteps.
“Jeff aveva quella cassetta. Ha dovuto cercare a fondo nel suo archivio. Credo fosse in una scatola che era stata lasciata sotto la pioggia e tutto il contenuto si è rovinato” ricorda Vedder.
“Non l’avevo riascoltata fino a un paio di mesi fa ed è stata un’esperienza incredibile rendermi conto che tutto il mio futuro si è basato su quei 15 minuti. Davvero non ne avevo idea. Per me si trattava di un esercizio nella scrittura di canzoni. Quando Jeff e un nostro amico me l’hanno fatta sentire, ho iniziato a ridere così tanto che sono caduto dallo sgabello. Quando l’ascolterete, capirete perché.”
Nonostante tutta la loro reticenza ad indulgere nella nostalgia, Vedder dice che l’esercizio di ripubblicare Ten ha portato delle lezioni preziose.
Ricorda come i testi della maggior parte delle canzoni siano stati scritti di mattina, quando l’appassionato surfista cercava di trovare un’onda dopo aver terminato un turno di notte.
“Forse tornando indietro si imparano delle cose. Ascoltando questo disco, una cosa che ho sentito come scrittore è che non c’era nessun ripensamento. Per l’abum avocado [il loro disco omonimo del 2006], credo di aver creato quattro diversi set di testi per ogni canzone” dice Vedder.
“All’epoca non c’era tempo per un ripensamento. Avevamo due settimane per scrivere un disco”.