Esclusiva web di Umt.Edu | Ottobre 2009
Montanan: Dimmi cosa ne pensi dello skate park di Missoula, visto che hai avuto un ruolo importante nella sua costruzione.
Ament: La cosa fantastica è che ho iniziato ad usarlo anch’io. Per questo progetto sentivo che potevo non solo contribuire finanziariamente ma, poiché sono stato in più di 100 skate park in tutto il mondo, so quali sono le cose buone e quelle negative. Penso che il problema degli skateboard park, è che sono un po’ difficili da realizzare perché la maggior parte delle generazioni precedenti non sanno cosa siano. Io lo spiego come se fosse la versione della Harley Davidsons della nostra generazione.
Montanan: Come hai iniziato a suonare il basso?
Ament: Ero preso dalla musica quando ero ancora molto giovane. Io e il mio amico Reggie eravamo fanatici della musica rock. Leggevamo Circus e Creem [riviste rock]. Il punk rock è stato decisamente quello che mi ha fatto capire che potevo farlo. Era facile e aveva quel tipo di energia che volevo. Ho iniziato a suonare il basso nell’autunno del 1981, al sesto piano del Jesse Hall. In parte è stato perché avevo una chitarra che avevo portato a scuola e avevo preso alcune lezioni al liceo e c’era un ragazzo che avevo conosciuto al mio piano, che aveva suonato in diverse punk rock band a L.A. e la sua famiglia si era trasferita a Butte. Lui suonava sia il basso che la chitarra. Aveva un basso Fender Precision del 1977 che ha scambiato con la mia Gibson SG.
Montanan: Si è scritto che in alcune delle tue prime band tu facevi pressione sui tuoi compagni per fare musica di successo commerciale, che era una cosa che loro consideravano non-punk rock.
Ament: No, non è vero. So che è scritto su Wikipedia. La realtà è che io ero un po’ più coinvolto, non avevo la pazienza di stare solo a cazzeggiare e fare le cose solo per divertimento. Avevo un lavoro a tempo pieno, nessuno di quei ragazzi ce l’aveva, e nessuno mi pagava gli studi e l’affitto. Dicevo “Farò successo a vent’anni. Voglio fare musica. Voglio fare dischi. Voglio fare tour. Voglio fare il massimo per far parte di una band. Voglio prenderla seriamente.” Non c’entrava niente l’essere una rock star. Io sono più o meno “do-it-yourself” ora di quanto non lo fossi nel ’92. Come Pearl Jam quest’anno facciamo uscire il nuovo album da soli, e abbiamo il controllo totale di ogni aspetto creativo.
Montanan: Se non eri spinto da un enorme desiderio di successo commerciale, allora cosa ti spingeva?
Ament: Derivava tutto da mio padre. Mi ha insegnato che bisogna lavorare duro per sopravvivere. Mio padre ha vissuto probabilmente per tutta la vita mettendo insieme stipendio su stipendio. Era una persona intensa, e io dovevo lavorare tanto con lui. L’ho quasi disprezzato per tante cose, ma devo considerarlo responsabile per un sacco di cose buone che mi sono successe e grazie a lui ho tanta grinta e non mi spaventa la fatica.
Montanan: Sei tornato a Missoula in parte a causa dello stress del successo a Seattle. Hai mai avuto problemi del genere a Missoula?
Ament: L’unico problema che ho mai avuto a Missoula riguardava gente di fuori città. In Montana le persone sono rispettose oppure se ne fregano. Apprezzo le persone che non mostrano così tanto interesse.
Montanan: Il posto in cui vivi influenza la tua creatività?
Ament: Dico sempre che sono tornato qui perché lavoro meglio e sono più creativo quando mi muovo ad una certa andatura. A volte il ritmo di Seattle è troppo veloce, si è iper stimolati. Missoula ha una vita culturale sufficiente per cui posso stare dentro e fuori quel tipo di stimoli. Posso prendermi il mio pezzetto di cultura, ascoltare un disco, o vedere un film o vedere qualche altra forma di arte e poi rifugiarmi nella mia stanza e suonare la chitarra, dipingere, fare skateboard, qualsiasi cosa mi diverta. Io non mi annoio mai, e credo che questo derivi in parte dal fatto di essere cresciuto in una piccola città. La mia immaginazione è piuttosto solida. Mi interessano ancora tutte le stesse cose che mi interessavano quando avevo 12 anni. Se ho una chitarra o uno skateboard o un pallone da basket, non c’è proprio possibilità che io mi annoi.